venerdì 20 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte VI-


Lo svegliarono di soprassalto nella notte, in maniera brutale.
Tre uomini robusti vestiti di scuro avevano interrotto il suo sonno.
Il primo pensiero che attraversò la sua mente fu: “Ci sono, è arrivato il mio momento”.

Il vecchio non era stato dunque ai patti. Ora che lui stava per vincere tutto avrebbe perso ogni cosa, ma solo perché l’altro era stato sleale.
“Non si fanno patti con il Demonio”, pensò, mentre si metteva i pantaloni.
“Alla fine si può solo rimetterci con il rammarico inoltre di aver, per avidità, perso molto credendo di acquistare a buon mercato”.
Mise la sua anima in pace. Finì di vestirsi senza fretta e attese la sua fine.
Questa però non sembrò arrivare.

Lo fecero invece salire su un grande motoscafo su cui i tre balordi erano arrivati. Lo avevano ormeggiato al pontile vicino alla villa.
La barca aveva due enormi motori che brontolavano sommessi e producendo dei mulinelli di schiuma bianca nel mare scurissimo.
Lo scafo dondolava per la risacca e urtava con i parabordi di gomma la struttura di legno, questi colpi sembravano i rintocchi di un orologio.
L’aria era fredda, umida e pungente.
Probabilmente a causa di un’imminente temporale che stava arrivando.
Lo aveva annunciato anche la televisione, ragionò fra di sé, forse per quello era vietato il volo notturno.
“Ecco perché non ho sentito arrivare l’elicottero, il destino si presenta sempre con un vestito nuovo agli appuntamenti importanti”, valutò la situazione ragionando ancora.
Sganciate le cime partirono veloci scivolando sopra questo mare di pece, saltuariamente illuminato da una pallida luna che pareva un faro di un carcere che scandaglia il muro di cinta fra il buio e le nuvole.

Il motoscafo saltava fra i marosi a folle velocità, pareva in lotta contro il tempo, ma lui non sapeva con chi o perchè stava lottando.
Di nuovo il pensiero della fine lo attanagliò, mentre erano al largo.
“Ecco, ora spegneranno i motori, mi metteranno un’ancora legata ai piedi e mi butteranno nel mare. Fine della storia.”.

La barca però non accennava a rallentare, impennandosi fra le onde come un grosso Merlin preso all’amo.
“Mancavano ancora due anni alla fine della sfida”, computò nella sua testa. “Avrebbe potuto attendere che inciampassi (come era già accaduto) in un insuccesso, perché anticipare la mia fine? Che senso aveva questo trasferimento?”.
Queste domande senza risposta si infrangevano contro la sua logica come gli spruzzi del mare contro la prora di questa imbarcazione.

“Inutile domandare a loro”, pensò ancora, “quei tre uomini avevano i modi e la faccia di chi non rispondeva alle domande…Caso mai le facevano, le domande!”.

Incomprensibilmente era calmo, non rassegnato, ma calmo.
Già da qualche tempo in lui era pervenuta una tranquillità naturale, ferma, indeformabile agli eventi che anche adesso lo sosteneva.
Ricordò che questo “dono” gli era arrivato dopo la seconda operazione, quando stava per perdere tutto nella nuova scommessa decennale.
Stava per disattendere per la terza volta di seguito il suo obiettivo mensile. Rischiava così di pagare non solo il pegno di una parte del suo corpo ma tutto se stesso.
Si era ammalato di un’uretrite terribile aggravata da un’influenza capitata in quell'angolo di mondo chissà come. Questi due nemici alleati contro di lui gli aveva tolto le forze.
Era così arrivato quasi di fronte alla morte e proprio in quel frangente, aveva saputo abbandonarsi, non da sconfitto, ma da uomo libero.
Inspiegabilmente aveva amato la “nera signora”, nella stessa maniera cui amava la vita.
Questa imparzialità lo aveva trasformato, aveva determinato in lui un ultimo grandioso salto in se stesso e gli aveva permesso di raggiungere un altro stato di coscienza, più profondo, vero, inalienabile.
Era guarito incredibilmente dopo questa “rivelazione”, in due giorni, miracolosamente, e con notevoli prestazioni di recupero si era salvato.

“Salvato? Per quanto?”, si domandò per l'ennesima volta e la sensazione che questa domanda non lo riguardava solo in quel particolare frangente, ma che lo accompagnava in ogni momento della sua esistenza e in quella di tutti ridusse ad una proporzione accettabile un’incognita così grande.

Fu sballottato contro il parapetto a causa di un’onda più alta delle altre e ritornò per un attimo al suo presente, al pozzetto dove era seduto nella barca.
Il timoniere, poco distante da lui, in una posizione sopraelevata maneggiava sicuro il timone, a gambe larghe manteneva la rotta nelle tenebre. Assomigliava un poco alla sua vita.
Aveva dovuto costruire una barca robusta, cioè il proprio corpo, tracciare la rotta disegnando una mappa con punti di riferimento reali nella sua mente, guidare con il timone del proprio sistema nervoso le emozioni per arrivare dove voleva arrivare.
“Dove?”, Domandò a se stesso. “E dove altro?”, Si disse ancora, e in maniera del tutto naturale si rispose: “Alla fine”.
Guardò il cielo, stingendosi nello spesso giaccone di lana grezza che gli avevano fatto indossare e ringraziò le stelle.
Aveva imparato a fare anche quello.

Osservò le sue dita della mano sinistra. Né mancavano tre, due c’erano ancora otto anni prima, pensò, quando, e gli parve che allora fosse ancora giovane, aveva rilanciato la sfida con il Numero 1.
Pazzo? No. Ora sapeva perché aveva fatto una cosa del genere.
Quello che non sapeva o meglio di cui doveva avere conferma era del perché aveva accettato tale sfida il suo antagonista.

Comunque si era sbagliato poiché lo sbarcarono illeso dopo due ore.
Fu trasferito su un fuoristrada e giunsero, qualche ora dopo, allo scalo internazionale. Prese, insieme ai suoi accompagnatori, l’aereo per gli USA.

“Tornava a casa? Pareva ormai quasi certo, se solo lui avesse mai avuto una casa!”, questa battuta lo fece ridere, pescando così lo sguardo torvo dei suoi nuovi compagni di viaggio, che lo squadrarono stupiti con quelle facce da galera.
Avrebbe potuto fuggire, chiedere aiuto, ma lo avrebbero raggiunto comunque, tanto valeva arrivare fino in fondo a questa partita e scoprire tutte le carte del mazzo.

Dodici ore di volo sono lunghe. Approfittò di questo tempo per analizzare la sua situazione alla luce dei nuovi eventi che per un poco avevano cambiato l’idea che si era fatto della sua esperienza, del suo incubo come una volta lo definiva. Adesso aveva una considerazione diversa del suo passato.
L’intuizione che era balenata nella sua anima molto tempo fa, mentre ragionava su quel lettino steso al sole durante l’attesa dell’arrivo del Numero 1, aveva preso corpo nei successivi otto anni.
Quello che allora aveva accantonato come un’assurdità alla luce della sua nuova maturità era risultato vero.

Aveva dubitato, e lo ammise candidamente con se stesso, nel momento in cui aveva visto quei tre uomini strapparlo al sonno e aveva pensato che erano venuti per ucciderlo, ma ora che le cose sembravano seguire una logica era sempre più convinto della sua interpretazione dei fatti.
Aveva però bisogno di un’ultima conferma.

Entrò profondamente in se stesso, percepì la propria integrità completa, si fuse con naturalezza nell’ambiente circostante e in questo modo separò la sua mente dal suo corpo è fu completamente libero.
Dopo un tempo che non avrebbe potuto definire si riappropriò del suo fisico. Sentì che le sue emozioni si erano placate e con semplicità sorse in lui uno stato di serenità, bellezza e perfezione che appartenevano alla “vera” normalità di un essere umano.
In questo modo vide molto più chiaramente la sua realtà.
Poi finalmente atterrarono.

Al di fuori dell’aeroscalo c’era una bella limousine ad attenderli che, veloce su l’highway, li portò lontano, in strade sempre meno trafficate sino in campagna.
Giunti di fronte ad una principesca residenza che si ergeva dinnanzi ad un piccolo lago artificiale, pensò: “La casa del Numero 1, non c’è bisogno di domandarlo ai passanti”.


Camminando nell’ampio salone all’interno di questa enorme casa vittoriana, udiva l’eco dei suoi passi e quello dei suoi angeli custode sulla pavimentazione a scacchiera, bianca e nera, di marmo pregiato.
Lo aspettava, al centro di questo ampio locale dal soffitto alto sino al terzo piano, il guardaspalle del vecchio.
L’uomo pareva una statua posta a monito per i visitatori.
Il gigante congedò con un’alzata del mento i tre balordi che si allontanarono senza una parola. Bastava certo lui da solo a fare per loro tre.
Da vicino sembrava fatto di granito.

La voce che uscì da questo “Frankenstein” fu invece gentile, virile ma con una nota di fondo malinconica e triste.
“Venga, il Signor Richards l’aspetta, mi raccomando…E’ molto malato, ma voleva assolutamente vederla prima…Prima di…Insomma lo vedrà da se”.

Questa raccomandazione quasi materna strideva: con l’uomo che la pronunciava, il contesto in cui era detta e la storia che vi era dietro.
“Era veramente una situazione bizzarra”, ragionò, “ma ogni vita a suo modo lo è nella sua unicità”.

Salirono lungo l’ampia scalinata sino al primo piano dove “boiserie” in legno avvolgevano le pareti facendo da continuazione ideale al pavimento di legno anch’esso ma di tonalità più chiara. Percorsero un corridoio ampio e lungo che si snodava lungo tutto il piano della grande casa, era punteggiato di porte sulla destra e ampie finestre a sinistra, ogni tanto un grande balcone dava uno scorcio del parco meraviglioso.
Le pareti erano impreziosite da dipinti di grande gusto.
Giunsero infine a una sorta di anticamera, ampia e con mobili antichi negli angoli e quasi al centro una coppia di divani gemelli di antica fattura, dove si fermarono.
Gli fu indicata una porta di legno bianco finemente intarsiato che adduceva a una stanza da letto.
Attese pochi secondi fuori di questa stanza e poi entrò da solo.

Disteso nel letto, leggermente sollevato da una pila di grossi cuscini, respirava a fatica con una maschera ad ossigeno il Numero 1.
L’unico segno della sua tempra eccezionale lo davano i suoi occhi.
Erano l’ultima ridotta posta a baluardo della sua vita. Il corpo aveva capitolato già da un po’, ma gli occhi erano illuminati dalla fiamma del suo spirito invitto.
Sorrise, nel vederlo entrare. Un tipo di sorriso che non pensava potesse appartenere ad un uomo così: di una dolcezza infinita e carico di una serenità che pareva già provenire dall’altra dimensione.

“Buongiorno, Peter”, disse il vecchio spostando con la mano maculata di macchie senili la maschera dell’ossigeno.
“Buongiorno Signor Richards, ora conosco il suo nome, ma vorrei conoscere l’uomo che c’è dietro, se possibile”, stranamente le sue parole fluirono dal suo cuore come se il male trascorso non fosse stato che un piccolo inconveniente sul loro comune sentiero.
“Ho chiesto alla morte di aspettare un poco solo per questo”, disse ancora l’anziano con voce nitida,
“Dovevo essere sicuro che ogni cosa fosse al suo posto e come vedi ogni desiderio è esaudito per l’uomo che sa come chiedere”, sorrise ancora e parve ringiovanire per un attimo.
“Hai capito?”, continuò interrompendosi per tossire.
“Si”, rispose Peter.

“Ogni pianta per essere forte deve conoscere le sue radici”, continuò il vecchio, con un leggero fischio nel respiro affannoso.
“Ho preparato una raccolta documentale di chi ti ha preceduto in modo, bada bene, tu possa decidere se continuare in questa difficile cosa o vivere la tua vita godendo ciò che hai conquistato.”, ebbe un singulto che lo interruppe, poi continuò.
“Inoltre, quando non ci sarò più, riceverai un piccolo regalo che ti aspetta nella stanza accanto. E’ il mio studio privato che ora è tuo, come tutto il resto”.

“Lei, ha fatto di me un uomo, insegnandomi con spietata bontà come operare in me stesso un cambiamento dettato da una coscienza libera dal dolore e dal piacere. Una lotta mortale che ho vinto grazie ha sforzi e sofferenze cui mi sono liberamente sottoposto”.
Si interruppe un attimo perché l’emozione lo sopraffaceva, nonostante l'esposizione del suo sentire fosse quasi impersonale.
“No, no” disse Richards, con uno sguardo severo.
“Non devi essere triste! Io resterò nel tuo ricordo come un amico e non come un Maestro, ora tu sei completo”.

“Come mai ora? Perché state morendo?”, domandò Peter.
“Tu eri pronto già da un pò, ti ho ben valutato nella tua crescita. Ti avrei comunque mandato a prendere, la malattia in cui sono incorso è stata solo una circostanza, niente di più”, espose il vecchio con il suo tono pacato e convincente che lo contraddistingueva in ogni occasione.
“Ma io voglio che lei resti ancora un po’ con me”, disse Peter serio, stupendosi dell’affetto che sgorgava da se stesso con naturalezza.
“Il mondo è troppo piccolo per due Numeri 1”, rispose l’anziano intervallando la sua risata ai colpi di tosse.
“E poi…”, aggiunse, “Nulla è per sempre”.

Trascorso qualche secondo di silenzio in cui il vecchio parve riandare con il ricordo in un passato remoto.
“Sappi che anche io ho avuto in dono la tua stessa sorte, ero giovane, molto giovane e vivevo una vita di espedienti, lasciandomi trasportare dalle circostanze come un relitto dal mare.
Quando incontrai il mio mentore, vissi le tue stesse difficoltà, ma patii molte più amputazioni. Paradossalmente persi entrambe le gambe per imparare a camminare. Come vedi ho trovato un allievo migliore di me. Non potevo desiderare di meglio. Perdonami, se puoi, del male che ti ho fatto, ma era l’unico modo che conoscevo per salvarti da te stesso”.
“Voi non mi dovete nessuna scusa, io ho avuto molto di più di quello che ho perso”, lo interruppe Peter.
Il vecchio fece un gesto vago della mano come a scacciare queste gentilezze superflue e concluse.
“il mio tempo è arrivato, ora lascia che mi raccolga in me stesso, ti lascio per un posto migliore non devi affliggerti, la morte è solo un passaggio, una porta niente altro.”, fece ancora una breve pausa e disse le sue ultime parole:
“L’uomo è più grande delle sue sofferenze”.

Gli parve che gli avesse strizzato l’occhio, mentre pronunciava questa frase che gli aveva dato i brividi, ma non né fu sicuro.
Poi sulla stanza calò un silenzio liquido di serenità.
Passarono vicino le ultime ore, senza una parola, mentre il sole faceva il suo percorso nel cielo andando a morire anche lui nella sera.
Come quel uomo affrontò il momento che a tutti tocca incontrare fu il suo ultimo insegnamento.

Ad un tratto il vecchio trasse un profondo respiro e parve quasi sollevarsi dai cuscini, poi espirò lentamente e chiuse gli occhi sorridendo per l’ultima volta.
Il viso pareva quello di un bimbo con le rughe.

Passarono ancora molti minuti.
Una mano delicata si appoggiò alla sua spalla e lo ridestò.
Numero 1, Signore…Prego, ci sono cose che aspettano lei”, disse la signorina Tippy che era entrata da un po’ nella stanza senza fare rumore.

“E’ vero c’erano cose che andavano viste e fatte”, disse a se stesso.
Con passi lenti si diresse nel suo nuovo studio e aprendone la porta, ebbe la netta sensazione che stava varcando una soglia, non solo verso il passato, ma anche verso il futuro.


Terminerà nella prossima parte…

mercoledì 18 febbraio 2009

San Valentino (3)

Al Biagio gli era presa la fissa di Montalbano, che palle pensava lei.

Era di Cinisello Balsamo e voleva parlare come fosse nato a Vigata, che neppure esisteva.

Amuri, le disse al telefono, per S Valentino ti regalo un'orata.

Sai che sforzo disse lei, va bene che ha tanto da fare, che lavora tanto, ma un'ora del suo tempo come regalo di S Valentino è da pidocchi.

Arrivò con un cartoccio un po' puzzolente, da cui spuntava una coda. L'orata era in senso ittico, un pesce vero.

Lei se la prese moltissimo, e sebbene lui tentasse di movimentare la serata tentando il giochetto erotico di infilarsela intorno al pisello e urlare "ha abboccato, ha abboccato", lei lo frustò con un ramo di rosmarino, che col pesce arrosto è la morte sua, e uscì sbattendo la porta.

San Valentino (2)

Le procurò delle gravi ferite colpendola con la pizza rinficoseccolita dalla eccessiva permanenza in forno, dovuta al suo ritardo, essendosi fermato a comprarle dei fiori, a cui lei era allergica.

lunedì 16 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte V-


Le pale dell’elicottero appena atterrato nello spiazzo antistante la grande villa, piegavano come spighe di grano nel vento, le schiene del gruppetto di persone che si avvicinavano a lui.
Piegavano tutti tranne il Numero 1.
Era già pomeriggio inoltrato e lo vide subito da lontano.

Ritto e fiero sulla sedia a rotelle spinta dal suo guardaspalle gigantesco, pareva indeformabile a qualunque elemento atmosferico e lo faceva assomigliare, in quel frangente, al capitano Achab sulla prora della baleniera Pequod, orgoglioso della sua caccia a Moby Dick.

Il tempo non lo aveva cambiato, pensò nel vederlo più da vicino.
L’immancabile vestito bianco, lo sguardo penetrante ed acquoso, lo avrebbe riconosciuto fra mille. E come avrebbe potuto dimenticare l’uomo che aveva cambiato la sua vita da un inferno in un incubo?
Ora, era il momento di svegliarsi da questo brutto sogno, era il momento che aveva atteso, pianificato e maledetto per dieci anni.

Quando furono vicini e il rumore del rotore non era altro che un lieve borbottio lontano, notò con distrazione che il tempo era passato invece impietoso per il primate che spingeva la carrozzina. Dieci anni lo avevano imbolsito, aveva perso molti capelli e quelli superstiti erano divenuti grigi. Conservava sempre una stazza eccezionale, tale da incutere una naturale diffidenza in chi gli si avvicinava.
La segretaria era invece ingrassata tanto da apparire più una massaia di mezz’età piuttosto che un'inappuntabile collaboratrice di un miliardario.
Alle spalle del gruppetto un ultimo personaggio che non conosceva, anonimo nell’aspetto e nel vestito. Li lasciarono soli, aspettando in piedi a rispettosa distanza, loro invece si accomodarono vicino ad un tavolo in angolo del grande spiazzo con piscina.
Qualche secondo di silenzio fu il loro primo saluto poi vennero le parole.

“Buon giorno Numero 6”, disse il vecchio.
“Buon giorno…Numero 1” rispose Peter, e l’assurdità di una simile situazione sarebbe bastata a farli scoppiare a ridere se non fosse scorso, in quel surreale incontro sanguinario, il veleno della tragedia vissuta.
“Non ha perso poi molto”, aggiunse l’invalido osservando il piede e poi il resto delle sue amputazioni.
“Certo, rispetto a lei, Numero 1, penso che posso suscitare ancora invidia”, rispose Peter, guardando la carrozzina dove il magnate era confinato.
Colpo su colpo avrebbe restituito, non era più l’uomo di una volta.

“Facciamo finta che lei sia ben disposto nei miei confronti e io farò finta di essere una persona per bene…Le interessa una breve tregua?”, aggiunse il Numero 1 con un sorriso sardonico.
“Si può fare…mi sembra ragionevole”, rispose Peter.
"Se non ricordo male le davo del tu, le spiace se riprendo questa familiarità?", domandò il vecchio.
"Per me va bene, ma personalmente continuerò a darle del -lei-", precisò.
"La senescenza ha i suoi privilegi", aggiunse ancora l'uomo sulla sedia a rotelle con un sorriso che sarebbe stato bene sulla faccia di nonno alla vista del nipotino preferito.
"Come era astuto quel uomo", pensò Peter e non poteva far a meno, in una piccola parte di se, di ammirarlo.
Sempre attento, empatico, capace, cambiando i punti di riferimento, di ribaltare una posizione sfavorevole in una di vantaggio, e così avere la meglio. Quest’uomo parlava e si comportava con un distacco tale che quasi le cose e le persone facevano a gara per assecondarlo, curiosamente le circostanze parevano favorire i desideri di un uomo che apparentemente né sembrava mancante.
Aveva certamente da imparare da un uomo così ma anche lui aveva da insegnare al suo nemico, e presto lo avrebbe fatto.

“Due milioni e trecentododicimila dollari e il rogito della casa scelta tempo fa, ricordo bene?”, esordì così il Numero 1, riassumendo la vincita.
“Ma prima che il mio notaio ti consegni il denaro e i documenti di proprietà, posso farti un paio di domande?”, chiese il vecchio, indicando con un gesto l’uomo che lui non conosceva e che stazionava a debita distanza da loro con una ventiquattrore di pelle nera.
“Certamente a patto che io possa farle una proposta”, aggiunse Peter, senza lasciar trasparire la minima emozione del vulcano interiore che stava ribollendo.
“Una proposta? Uummmh! Interessante, Peter, e ti chiamo adesso con il tuo nome perché ormai non avanzo più nulla da te, dico bene?”
“Certo, lei non dice mai cose sbagliate, ma che sono dette per il bene questo è un altro discorso. Comunque io continuerò a chiamarla Numero 1, visto che non conosco il suo vero nome.”
“I nomi”, disse l’anziano, mulinando una mano come se avesse da riavvolgere una matassa di lana.
“I nomi sono gli araldi dell’ignoranza, spesso ci accontentiamo di catalogare con una parola un concetto, un sentimento, una persona addirittura; così facendo ce né dimentichiamo. Smettiamo di cercare, di vedere, di domandarci,
-chi o cosa- essa sia realmente, o cosa sia diventato. Credendo di conoscere diventiamo più ignoranti”.
Le parole pronunciate lo stupirono per la loro singolarità.
Poi il suo interlocutore si schiarì la gola e aggiunse cambiando tono.

“Questa però non è una lezione di filosofia e tu non sei certo uno studente”, tratteggiò un nuovo sorriso sul suo volto segnato dalle rughe e gli scoccò uno sguardo che gli raschiò l’anima.

“Vorrei sapere come sei riuscito da inetto invertebrato quale t’ho conosciuto a portare a termine un compito non facile come quello cui ti sei dedicato nell’ultimo decennio. Come, mi chiedo ancora, tu abbia superato anche la paura e il dolore. Le tue due ultime “operazioni” addirittura senza anestesia. Un’impresa quasi sovrumana”.

“In tutta questa cosa di umano c’è ben poco e lo sappiamo entrambi, ma le spiegherò come ho fatto: giusto per compiacerla”, citò volutamente una delle frasi del vecchio nel loro primo incontro avvenuto tanto tempo fa. Poi riprese.
“Il bisogno ha reso necessario il mio cambiamento. La sofferenza è il prezzo che ho dovuto pagare per cambiare e dare valore a questa cosa.
In merito alla paura e al dolore posso dire che spesso mi precipitavano nel baratro che cercavo di evitare. Ho così edificando un corpo sano e una mente tranquilla come un lago di montagna per poter vincere, ma prima di raggiungere la vittoria ho dovuto liberarmi dalla vittoria stessa.
Ho agito come se tutto fosse già stato fatto. Non conosco come un’intuizione del genere mi abbia portato a spezzare le catene delle mie abitudini per farmi sopportare il peso, di altre catene, che avevo però liberamente scelto, ma così è stato. Forse per caso”.
“Il caso non esiste”, lo corresse l’uomo sulla sedia a rotelle, parlando con una voce che pareva venire da lontano.

La vicinanza con questo uomo era inquietante. Fisicamente insignificante a causa della sua menomazione, riusciva però, a metterlo a nudo.
Creava stranamente nella sua mente una sorta di eco. Peter, riusciva ad ascoltare in questo modo le sue stesse parole, percependo spesso la sensazione che non fossero vere, reali.

"Non devo dubitare di me stesso", pensò e spronò il proprio spirito ad essere più forte. Avrebbe attinto dal profondo del suo cuore, ammesso che ne avesse ancora uno.
"Solo ciò che è vero non può essere manipolato", si esortò ancora con queste considerazioni.
Pescò dunque nel magma del suo rancore, eruttò lapilli incandescenti di scaltrezza e diede forma alla lava del suo desiderio di rivalsa.
Dei soldi non gliene fregava più nulla. Quindi continuò.

“Ho rinunciato alle anestesie perché limitavano le mie –prestazioni- e volevo provare a me stesso di aver superato il dolore, è stato semplicemente un esperimento dettato dalla necessità. Ho risposto alle sue domande?”, chiese Peter senza rivelare il minimo sentore della battaglia interiore che andava affrontando per mantenersi lucido e calmo.
“In parte” rispose il vecchio,
”Ho fiducia però che le tue prossime parole mi chiariranno molto di più le cose. Tu sai certamente che le domande rivelano l’interlocutore più di qualunque risposta: quindi vorrei conoscere la tua -proposta-“.

Si interruppero per un attimo all’arrivo del cameriere che servì da bere un aperitivo analcolico guarnito di frutta e obrellini di carta multicolore.
Nel frattempo il sole cominciava a tramontare e la temperatura mite lambiva questo quadro elegante che si dipingeva man mano sulla tela di un paesaggio bucolico.
Parevano amici che amabilmente conversassero dei bei tempi, ma senza fretta.
Nulla di più lontano dalla sostanza.
Mentre ognuno di loro sorseggiava con piacevolezza il proprio drink, la battaglia silenziosa non era certo meno violenta della salva delle loro battute.
Era una guerra di anime fra loro.
Peter non voleva abbassare la propria attenzione né consapevolezza su ciò che faceva, dove era, e con chi era. Era chiaro come non mai nella sua mente cosa andava fatto.
Il miliardario non era certo da meno.

Nuovamente soli, Peter parlò.
“Lei ha giocato sino ad ora con me, da una condizione di superiorità.
Diciamo che, facendo un paragone, lei ha tenuto –banco-.
Questo perché io non avevo nulla da scommettere a parte me stesso.
Ora invece punto oltre alla solita posta anche due milioni e rotti di dollari e la casa che possiedo per rilanciare. L'offerta è per altri dieci anni come questi, ma alla fine, il premio di questa scommessa, una volta vinta, sarà tutto, e quando dico tutto, intendo il suo patrimonio completo. Ogni cosa che lei possiede, nulla escluso, fino all’ultimo cent”, espose la sua folle offerta con continuità, come se avesse commentato la scelta delle vele in una barca che passava al largo.

“Perché mai dovrei accettare una cosa del genere?”, chiese il vecchio senza scomporsi.
“Perché lei ha tutto appunto, Numero 1”, disse Peter e aggiunse,
“E chi ha tutto non può dire di no ad una sfida come questa”.
Il silenzio che fece seguito alle sue parole sottolineò uno dei più intensi momenti della sua vita.

Il sole nella sua parabola discendente tratteggiava appena di rosso il bel cielo limpido ma ancora luminoso e colorò il suo sguardo.
Il profumo delle magnolie che carezzavano l'aria riempì il suo respiro, quietandolo.
L’atmosfera era carica di energia che avvolgeva loro due. Era come un'ampolla ove si stava distillando il futuro.
Passarono molti secondi, forse un minuto, in cui il vecchio pareva scandagliare ogni circostanza e abbracciare con lo sguardo gli eventi prossimi venturi, poi parlò risoluto.

“D’accordo, Numero 6, naturalmente faremo le cose in modo regolare. Nulla è più corretto di un accordo fra nemici”, aggiunse. Risero entrambi.
“Ma voglio in cambio di questa sfida una posta più alta” enunciò.
“Cioè?”, domandò Peter
“Voglio la tua vita. La voglio messa in gioco, oltre alle parti del tuo corpo, ma solo nel caso in cui per tre volte di seguito tu non raggiunga il target mensile. In fondo anche io mi sto giocando la vita. Come potrei vivere senza denaro e senza gambe?” contrattò l’invalido e aggiunse al modo di passatempo,
“Giusto per rendere più eccitante il gioco.
Dei dettagli si occuperà l’avvocato Lorenzi, mi farò mandare subito con un fax il contratto che sarà convalidato dal notaio qui presente. Gli suggerirò inoltre di nominare un curatore delle mie proprietà, da oggi e per i prossimi dici anni, per garanzia.
Se vincerai...E sottolineo -se-, avrai tutto, altrimenti…”, concluse e soffiò nel palmo della propria mano, indicando così la sua eventuale fine.

"Accetto! Do ut des", confermò Peter con entusiasmo contenuto,
“L’avvocato Lorenzi? Come mai non Skowroski?”, domandò con una nota di curiosità.
“Skowrosky è morto due anni fa, fulminato da un infarto in uno dei suoi rari week end di riposo nella sua villa di Malibù. L’autopsia ha rivelato che aveva le coronarie come cavi di acciaio. Stress, credo abbia diagnosticato il patologo.
Cose che non accadono a uomini come noi, dal sistema nervoso inattaccabile” constatò con ironia.
“Verissimo, Numero 1, ma lei ha una certa età. Se non arrivasse alla fine della scommessa?”
“Allora avrai vinto lo stesso, non c’è problema, ma io ci sarò. Ci sarò…Non ti preoccupare”.
Questa frase era destinata a risuonargli nella testa per molto, molto tempo ancora.
Vide poi tutti loro, espletate le formalità del nuovo contratto, salire a bordo dell'elicottero che si sollevò da terra con un rumore assordante. Sovrastata la casa, l'aeromobile fece un mezzo giro su stesso e si allontanò volando a pelo d'acqua verso la linea del tramonto.

Il silenzio che seguì coprì la villa, poi l’isola e anche il mare circostante parve immoto.
Gli sembrò che tutto il mondo fosse privo di qualsiasi rumore.
Fra due giorni avrebbe preso il via la nuova sfida, sarebbe tornato nell'arena per l'ultimo lunghissimo combattimento/spettacolo.
Solo per un attimo attraversò nel suo cervello un pensiero pavido, generato forse dal silenzio e dalla solitudine: "Che ho fatto!".
Era un grido di disperazione che si diffondeva in lui come un urlo silenzioso.
Fu solo un momento di debolezza cui non lasciò altro spazio.

Raddrizzò la nuca e si riappropriò di se stesso, mentre il suo sguardo malinconico indugiò per un poco nell’orizzonte dove un punto nel cielo diventava sempre più piccolo.

Continua….

mercoledì 11 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte IV-


Osservava il mare seduto sul lettino vicino alla grande piscina, era un paesaggio mozzafiato che i suoi occhi conoscevano ormai perfettamente, ma che non smettevano di ammirare.
Oggi era il giorno.

Dieci anni, dieci lunghi anni erano trascorsi e gliel’aveva fatta. Oggi avrebbe rivisto il suo “datore di lavoro”, il Numero 1, come nelle rarissime comunicazioni telefoniche si faceva chiamare il vecchio paralitico.
Un brivido lo percorse da capo a piedi e quasi si sentì sopraffare dalla gioia, dall’orgoglio della sua vittoria.
Certamente i momenti difficili non erano mancati, disse fra se, e ricordò con precisione tutte le difficoltà affrontate ed i cambiamenti che aveva dovuto operare su se stesso per arrivare a questo momento, per gustare questo istante che aveva il sapore dell’Ambrosia.

Ricordò il primo giorno del suo arrivo sull’isola. Era atterrato con l’elicottero privato del Numero 1, quel invalido malefico che lo aveva condannato a dieci anni di paradiso forzato.
“Una villa meravigliosa”, aveva detto quel avvocato molto tempo fa, ed, infatti, così era.
Purtroppo il lusso stemperato nella routine, annoia. Anche la carezza amorevole ma costante soffoca, alla fine l’abitudine soverchia ogni altezza.
La naturale associazione mentale che arrivò nella sua mente fu per tutte le donne che aveva posseduto in questi anni, ma questo pensiero non gli diede fastidio.
Una sorta di distaccata osservazione si fece largo fra le pieghe del suo cervello nel ricordare tutte le ragazze che aveva avuto.
Stranamente serbava memoria solamente della prima e ora, si ripromise, avrebbe ricordato per sempre anche l’ultima.
La bella e giovane fotomodella lo attendeva da un pò in camera da letto per: l’ultimo rapporto sessuale obbligatorio della sua vita.
Il suo ultimo spettacolo osceno per il "Numero 1”.
Le altre “signorine” risultavano indistinte, corpi ben fatti, bocche vogliose, odori diversi si confondevano nella sua memoria come un collage scandaloso ma confuso.

“Finalmente sarebbe stato ricco e libero”, sorrise della propria vanità e ricordò ancora di come fosse cambiato.
Un cambiamento così radicale che fra il vecchio, ma allora giovane, se stesso e l’attuale uomo non passava nemmeno un segno di riconoscimento.
Aveva modificato la sua esistenza, come un atleta in occasione di un’olimpiade, solo che per lui non ci sarebbe stato il guadagno di una medaglia alla fine della gara, ma un pezzo del suo corpo ancora attaccato a se stesso, e la cosa era molto più seria.
Eliminate le sigarette, ridotto a dosi omeopatiche l’alcol, aveva disciplinato il proprio corpo in un allenamento duro ma non esasperato. Nuoto, un’ora il giorno ma tutti i giorni. “Ginnastica e cibo sano” erano stati i suoi compagni di viaggio. Il Trainig mentale il suo maestro per non cedere alla depressione e alla paura. Aveva costruito un corpo forte che gli aveva consentito di avere poco meno di 10.800 orgasmi in dieci anni e uscirne vivo da questa brutta storia.
“Vivo ma non illeso”, precisò nel suo monologo mentale.

Il lavoro più duro era stato plasmare la sua mente.
Estirpare da se stesso la paura di non farcela, mondare il suo inconscio da ogni pensiero parassita. La sua vita apparentemente dissoluta era in realtà una vita monastica. Un tempio costruito all’interno di un bordello. Aveva dovuto edificare una simile opera per sopravvivere e nel sopravvivere aveva covato l’odio e la rivalsa per il suo carceriere multimiliardario.
Aveva una sorpresa per lui: una trappola. Un regalo forgiato dal livore. Un opera costruita dentro la sua mente. Aveva scavato nel suo cervello una buca irta di pali acuminati, dove il grande mammut sarebbe andato a cadere e morire, ma con dolore.

Gli angoli della sua bocca si distesero in un’espressione travisata e sgomenta, si appannò il suo sguardo.
Il seme di un'intuizione aveva sconvolto la sua interpretazione del passato e di ciò che si apprestava a fare per il futuro. Era solo inciampato in un barlume di verità che però non scalfiva la granitica costruzione a cui aveva sacrificato un decennio. Fu quindi solo un attimo che allontanò da se come un'assurdità.

Allungò lentamente il braccio e prese il bicchiere di cristallo appoggiato sul tavolino, bevve il succo di pomodoro condito come fosse champagne.
Il cameriere alle sue spalle interruppe il corso del suo ragionare.
“Il Signore desidera qualche cosa?”
“No grazie, ho tutto quello che mi serve”, rispose e quelle parole per lui avevano anche un alto significato, molto più profondo.

L’accappatoio bianco lo copriva dal vento fresco che si era sollevato inaspettato. In questa isola della Grecia faceva sempre un tempo magnifico. Pioveva raramente e mai per tutto il giorno. Gli inverni miti gli avevano concesso una salute di ferro.
Le lunghe ore di esposizione al sole mentre sprofondava nella lettura e nella meditazione avevano conferito alla sua pelle un colorito bronzeo elargendogli però anche qualche ruga.
“Aveva già quaranta anni”, pensò come se questa verità biologica fosse stata per lui, in quel momento, una rivelazione spirituale.
Osservò poi con indifferenza le amputazioni che aveva subito, quattro dita di un piede, il mignolo di una mano. Si accarezzò l’unico orecchio che gli era rimasto e rivisse per un attimo il dolore e il terrore, ma senza più coinvolgimento, come se fosse accaduto ad un altro.
Aveva imparato anche a fare questo, ora era libero dalla sofferenza, non insensibile ma semplicemente oltre questa.

“Bene!”, Disse per farsi coraggio, "andiamo a lavorare", e così dicendo si avviò claudicante verso la camera da letto. La stanza lo aspettava con le grandi porte-finestre aperte sul patio lastricato di belle pietre levigate .
Le tende azzurre pigramente spostate dal vento davano saltuari scorci del locale nel cui centro campeggiava un grande letto bianco e sopra di esso c'era una ragazza sdraiata, nuda. Lei gli dava le spalle mentre leggeva una rivista, era mora, magra ma perfetta con un seno scolpito e i glutei alti e muscolosi leggermenti abbronzati; pareva un bassorilievo sul candore delle lenzuola.
La giovane si volse appena verso di lui e sorrise ammiccante.

“Sei l’ultima”, pensò fra se, ma poi ricordò il suo piano e si corresse: “Forse”.

Mentre si accoppiava con la bella amante provò un'inaspettata soddisfazione. Poi udì l’elicottero che si avvicinava alla villa ed ebbe una stretta allo stomaco.
Nel momento dell’orgasmo apparve nella sua mente la faccia del vecchio che lo contemplava con un ghigno.

“Ride bene chi ride per ultimo”, disse, poi guardando in direzione della telecamera nascosta dietro l’armadio rise, rise forte come posseduto dalla follia.

Continua….

San Valentino

Era tanto che ci pensava, sentiva di doverglielo, così per S Valentino comprò uno splendido anello e lo mise alla sua mano sinistra. Era mancino.

martedì 10 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte III-


Si alzò di scatto dalla sedia.
Fu una reazione inconscia, istintiva, come quando si ritrae la mano dalla fiamma ancora prima di sentire il dolore della bruciatura che ne fa seguito.

Nessuno tentò di fermarlo, ma giunto alla porta udì una voce autorevole, la voce di chi, abituato al comando, non aveva bisogno di alzare il tono per essere ascoltato.

“Peter, non è forse vero che il valore di una moneta si determina esaminandola da entrambe le facce?”

“Cosa? Cosa?”, disse Peter voltandosi indietro come se un’eco dentro alla sua testa facesse rimbalzare questa voce e scuotesse le fondamenta stesse del convincimento che lo facevano fuggire da quel posto folle, da quel luogo dove persone apparentemente per bene deliravano invece che conversare. Da quel manicomio camuffato di rispettabilità.

“Prego, si sieda e mi ascolti per due minuti”, era la voce del vecchio invalido che udiva, ma il timbro era quello di un uomo di mezza età. Una intonazione bassa, baritonale, che contrastava paradossalmente con il suo corpo menomato, anziano e magro. Essa vibrava di una forza misteriosa. Una sorta di accento strascicato che rendeva le sue parole, apparentemente amichevoli, sinistre e nondimeno ammaliatrici.

L’invalido indicò la sedia da cui lui si era alzato e Peter rimase fermo sull’uscio come in forse.
“Mi accontenti”, aggiunse, “Solo per compiacermi”. Sottolineò la frase con un sorriso che scoprì i denti perfetti.
Come in uno stato ipnotico ritornò sui suoi passi e si risedette. Seppe di essere di nuovo in catene, ma ormai, inspiegabilmente, si era già abituato a quel peso da non patirlo quasi più.
Il primo passo verso l’inferno era stato compiuto, ma lui non se ne sarebbe reso conto che molto tempo dopo.

“Due minuti, non un secondo di più”, proferì Peter e le sue parole parvero a se stesso estranee, simili alla minaccia di un ragazzino: ridondante ma inverosimile.
“Basteranno”, disse il vecchio senza il minimo accenno di fretta, poi continuò.

“Immagini un foglio bianco. Lo vede Peter? Ecco, lo divida a metà con una linea ideale. Alla sua destra scriva i “contro” e alla sua sinistra i “pro”, ma mi permetta, solo per gioco, di suggerirle alcune voci.
Poi, se vorrà potrà cancellarle se non le corrispondono o aggiungerne altre, come le ho detto è solo un gioco.
Il senso? Giudicare correttamente per decidere nel modo migliore, cioè senza rimpianti.
Le persone comuni spesso prima scelgono e poi, pentendosi, giudicano.
Lei è un uomo intelligente: non faccia questo errore dettato dall’impulsività”.

Fece una breve pausa in questo discorso semplice ma vero, pronunciato in un tono così quieto e distaccato che piuttosto di convincere, cullava come una storia per bambini.
Peter lo guardava con stupore, e seguendo l’onda della voce modulata del vecchio trovò la calma e l’arrendevolezza necessaria a considerare la proposta in tutte le sue sfaccettature.

L’uomo sulla sedia a rotelle lo guardava in viso, ma senza alcuna ostilità, anzi una sorta di familiarità sembrava scaturire da quel volto segnato dalle sofferenze fisiche che, però non avevano intaccato uno spirito forte come l’acciaio e tagliente come una lama di bisturi.
Quindi proseguì la sua esposizione.
“Nei –contro- metterei sicuramente la sua attuale situazione finanziaria che, non si offenda, definirei fallimentare.
Se analizziamo la sua condizione umana, poi: non ha amici, non ha una relazione sentimentale, non ha parenti.
Lei è solo.
Senza tema di sbagliare aggiungerei che è un indolente, un pigro inveterato, un perdigiorno, un inetto. Non ha saputo costruire nulla sin d’ora e certo adesso alla soglia della maturità non cambierà.
Il mondo è pieno di gente poco realista che da giovani pensavano che il loro culo sarebbe invecchiato come il vino. Se vuole dire che diventa aceto, è così; se vuole dire che migliora con l'età, non è così.
Se avesse potuto farcela in qualche modo sarebbe già accaduto.
Miseria e solitudine è quello che sicuramente l’aspettano per i prossimi anni che le resteranno da vivere.
La vita è piena di incertezze, specialmente per un povero. La malattia e le disgrazie mietono vittime otto volte di più nelle fasce demografiche a basso reddito, ma non voglio annoiarla con le statistiche…Sono così aride!
Solo una piccola curiosità: lo sa che muoiono sulla Terra più persone in un anno per incidenti stradali nei week-end che in molte guerre? Fuori è una jungla, ma a molti appare uno zoo”

Fece ancora una breve pausa, non erano che passati trenta secondi e davanti agli occhi di Peter il mondo si era già sgretolato come un affresco ammuffito.
Poi l’anziano riprese.
“Da ultimo consideriamo la sua paura più grande se accetterà questa –occasione unica- e cioè una possibile menomazione, per la verità piccola, magari solo un dito della mano o del piede, nel caso di un suo fallimento mensile.
Certo, può spaventare, ma è un’eventualità gestibile non una certezza ineluttabile.
Se lei è padrone del suo destino lei è libero, anche se vive senza uscire per dieci anni in una splendida villa.
E sa perché è libero? Perché lei ha vinto sul fato. Nulla le accadrà di inaspettato, lei determinerà in maniera certa il suo divenire.
Quindi vede come già un –contro- può essere messo nei –pro-, semplicemente ampliando il proprio orizzonte”
Un breve sorriso distese il volto del suo interlocutore che continuava nella sua lucida esposizione.

“Nella colonna dei vantaggi metterò una cosa sola.
Le pare strano, Peter? Forse, ma è la cosa che da senso a tutte le altre.
Lei non sarà solo. E non parlo della compagnia di splendide ragazze che allieteranno i suoi giorni, ma la consapevolezza che la sua vita avrà senso anche per chi, come me, vivrà di riflesso nella sua.
Sarà il protagonista, lo sceneggiatore e il regista della propria esistenza.
Mentre io, che fino a qualche momento fa le apparivo come un nemico: sarò solo il produttore.
Gli altri candidati non mi interessano, mi piace lei, mi ricorda un poco me stesso da giovane, ma questi sono solo sentimentalismi di un vecchio, adesso solo i fatti contano.
Ecco perché dico che lei firmerà e, fra dieci anni, quando tutta questa storia sarà finita, penso che si ritroverà ad essere un figlio di puttana sorridente.”

In meno di un minuto e venti secondi la sua mente era stata plasmata da una nuova luce.
Gliel’avrebbe fatta! Cazzo, sentiva che poteva vincere! Anzi ne era certo.
La sfida era stata lanciata e lui ora si sentiva forte come mai in vita sua.
Firmò, e così perdendo il suo nome, divenne il "numero 6".
Era iniziato il suo viaggio verso una nuova casa, una nuova vita.

Continua….