martedì 10 marzo 2009

Ora posso fare tutto (Soprano's way)


Sono temuto, quindi rispettato.
Già, perché ho capito - ed invero l’ho sempre sospettato, anzi saputo, ma celato a me stesso per sentimentalismo – che gli esseri umani rispettano solo ciò di cui hanno terrore.
A volte manifestano una falsa deferenza ma solo perché pensano di trarne un profitto.
Altrimenti, è sprezzo, menefreghismo, compassione.
.
Chi dice di amarti prova solo desiderio e quando ti lascerà scrollandoti di dosso come forfora, non proverà per te ammirazione o stima, bensì pena e fastidio, ben che andrà indifferenza.
Lo chiamerà affetto. Ma il bene non è rispetto: è misericordia.
Chi ha paura di te invece ti guarderà sempre come si guarda un Totem.
Neppure chi ti odia ti rispetterà se non trema di fronte al tuo sguardo.
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(Liberamente tratto da Sdrammaturgo)

giovedì 5 marzo 2009

Viagra

Rosaaaaaaaaaaaa, Rosaaaaaaaaaaaaaa urlava Gino vuotando i cassetti del comodino.
Rosa accorse impaurita pensando che Gino si fosse fatto del male, ma quello che le disse fu ancora peggiore:
- Rosa, avevo un blister di Viagra tutto pieno e ora non ce ne sono più. Dov'è Giacomino ?
Oddio il bambinoooooooooooooooo gridò Rosa e quasi svenne.

I due corsero in salotto temendo di trovare il nipotino agonizzante.

Ma Giacomino, buono e pacioso, stava lanciando le sue ciambelline di plastica su un ottimo e divertente perno, anzi due: il gatto Fuffino era stato forzosamente alimentato a Viagra dall'adorabile creatura.

mercoledì 4 marzo 2009

A ciascuno il suo.


Vendo casco moto, modello Otello, quasi nuovo, causa divorzio.

Bricconlage


E' incredibile le cose che si trovano nello scarico della doccia!

Angeli, Arcangeli, Troni e Dominazioni.


Si svegliò di soprassalto.
Una luce filtrava nella stanza nonostante le tapparelle abbassate.
Poi lo/la vide.
"Chi sei?", chiese spaventato.
"Sono un angelo", disse l'apparizione con un sorriso radioso.
"Che vuoi da me?", chiese ancora sbigottito, il giovane teenager
"Sono qui per le tue preghiere, per consigliarti, aiutarti ed esaudire i tuoi desideri", rispose la paradisiaca creatura.
"Vuoi un playstation3? Un motorino? Un biglietto per il concerto dei Green Day?", incalzò la bellezza alata.

Il ragazzo ristette pensoso accarezzondosi le gote irte di brufoli, poi chiese.

"Vorrei solo che mi raccogliessi il Gameboy sotto il letto, mi va una partita, ma sono pigro stanotte".
"Certo, caruccio per così poco!", Aderì prontamente l'essere celeste e si mise carponi a cercare sotto il giaciglio.
"Ahia!, esclamò d'improvviso l'angelo, sussultando sotto le spinte veementi del giovine ed aggiunse con candore.
"Apperò che joystick grosso che hai!"
"E' per giocarti meglio", disse lui fra gli ansimi con inaspettata voce baritonale da indemoniato.


mercoledì 25 febbraio 2009

Il Prigioniero -VII e Ultima Parte-


All’interno dello spazioso studio gli parve di sentire l’odore di chi lo aveva preceduto. Un sentore di erba appena tagliata con un sottofondo di pane sfornato.
L’arredamento del locale era ricco ma sobrio e dava immediatamente una sensazione di protezione, raccoglimento e distacco dalle umane e spesso meschine cose del mondo.
Ampie scaffalature alle pareti piene di libri di pregio rilegati facevano argine all’ignoranza. Scorse con i polpastrelli il dorso di questi volumi gironzolando per il locale. I suoi passi non risuonavano sul parquet perché coperto da spessi tappeti antichi del Caucaso. Un divano di pelle nera posto vicino al grande camino acceso pareva invitarlo al riposo, ma non era il momento di fermarsi.

Accese un’altra luce per contrastare il buio incombente della sera e lesse alcuni titoli della biblioteca privata.
“Lettere a Lucilio” di Lucio Anneo Seneca, poi più in là “I Fratelli Karamàzov” di Dostoevskij, “Il Mahabaratta”, il grande poema epico Indiano e subito dopo “l’Odissea” di Omero.
Entrava man mano nella vita del vecchio Numero 1, ma in punta di piedi.

Si sedette sulla poltrona imbottita di fronte all’ampia scrivania di legno.
Alle sue spalle una vetrata intarsiata di vetri colorati separava le tre grandi arcate delimitate da colonne di granito che permetteva di affacciarsi sul parco secolare.
Spesse tende di velluto blu facevano da cornice a questo quadro bellissimo.
Visionò con cura gli oggetti che una volta erano appartenuti all’uomo che aveva cambiato in maniera così radicale la sua vita. C’erano ricordi da tutto il pianeta, disposti però con gusto e moderazione. Li accomunava, però la bellezza con cui erano stati scelti. Pensò a quanto lavoro, tempo e cura vi era dietro a come una volta erano appartenuti e voluti proprio lì da un uomo che ora non c’era più.
Non poté fare a meno di indugiare nel sentimentalismo.
Fu una breve vacanza, di qualche minuto, da cui si riprese cercando ciò che doveva essere trovato.
La documentazione era ordinatamente impilata alla destra della scrivania, di fronte il grande monitor del computer che lo avrebbe aiutato nella lettura.

“Numero 2”, lesse nel fascicolo ed estrasse il Dvd.
Scorse la notevole mole di dati, moltissimi documenti, relazioni e filmati.
Era uno degli uomini che lo avevano preceduto in questo esperimento, in questa scommessa con il fato e contro ogni logica apparentemente razionale.

Le relazioni psicologiche dettagliate stagliavano il profilo psichico di questo suo “fratello”, poi i cambiamenti sopravvenuti durante la clausura decennale.
Il numero 2 aveva superato i dieci anni, ma non aveva continuato.
Dopo circa due ore di lettura e di filmati e dichiarazioni una breve nota a pie di pagina ne dava il destino che era seguito alla sua vincita: suicidio sei anni dopo.
Più fortunato era stato il numero 3, aveva superato la prima prova, ma era anche riuscito a sopravvivere alla vittoria.
Viveva ora in Scozia, sposato con tre figli.
Il Numero 4 e 5, pur avendo ottime “chance” (almeno così erano stati indicati dai test), avevano abbandonato.
Il primo era quasi morto attraversando su una zattera rudimentale lo stretto che dall’isola portava alla terra ferma in una fuga disperata quanto scomposta.
Era stato salvato in extremis e poi “graziato” dal vecchio Numero 1, di lui in seguito si erano perse le tracce.
L’ultimo era semplicemente impazzito a causa delle amputazioni subite ed era diventato un erotomane senza freno, un maniaco compulsivo.
Ora era rinchiuso in un manicomio di lusso, pagato sempre dal vecchio.

Arrivò, ed era già notte fonda, al proprio fascicolo digitale.
Apprese che fra i candidati selezionati nella sua “leva”, era il meno favorito, ma il vecchio lo aveva preferito ugualmente, forse mosso più dall’istinto che da considerazioni oggettive.

Rileggere e rivivere quei diciotto anni fu un’immersione totale nel suo passato nel suo cambiamento. Era come assistere alla genesi di un uomo nuovo.
Questa regressione evidenziò ciò che già sapeva e cioè come apparentemente mosso dall’avidità aveva scelto di accettare la sfida per poi rilanciare, ma per rancore.
Allora non poteva sapere né immaginare che a spingerlo era in realtà la ricerca di se stesso, il desiderio inconscio di dare un senso alla propria esistenza.
Un senso perverso certo ma sempre un senso.
Aveva dovuto curarsi con il veleno che, per un uomo come lui intossicato dall’apatia e dalla abiezione per se stesso, era stata l’unica medicina.
Un fiore sorto dal fango, avrebbe detto se avesse voluto dirla in poesia.

L’alba lo sorprese con gli occhi arrossati ancora nella lettura di questa vicenda.
Grande fu la sorpresa nel leggere, stavolta su diari e su documenti cartacei, la storia del vecchio Numero 1.
Molto simile alla sua, forse anche troppo, e questa identificazione gli graffiò l’anima e dovette ricordarsi le ultime parole del suo mentore per non cadere nella tristezza più nera.
Una nota nel diario scritta nell’ultima pagina dallo stesso Richards, lo colpì.
“Il serpente è costretto a cambiare pelle per crescere. Io non mi sono rassegnato ad una condizione di schiavitù e ho stappato da me tutto quello che non mi consentiva di realizzare la mia libertà.
Forse anche il serpente patisce quello che io ho dovuto soffrire, anche se sono certo solo di me stesso”.

“Non c’era altro da aggiungere”, pensò chiudendo il diario.

Sentì in quel momento un leggero bussare alla porta, era la signorina Tippy.
Entrò con un vassoio con la colazione e questo gli fece notare che era già mattina.
“Lo sapevo che non avrebbe dormito, però almeno mangi qualche cosa!”,
Pareva una simpatica zia di mezz’età in quel frangente e gli strappò un sorriso bonario.
“Quanto ha ragione! Signorina”, disse e poi aggiunse,
“Nulla è più interessante di se stessi per se stessi”.
La signorina appoggiò il vassoio su un lato della scrivania e scosse la testa dicendo,
“Mi sembra di sentire il vecchio Numero 1. Si ricordi che fra poche ore arriverà il notaio per il testamento, prima, però deve firmare le pratiche di adozione, il signor Richards ha fatto in questo modo, così tutto passerà a lei senza grossi incomodi”, attese qualche secondo e continuò.
“Dopo che avrà firmato potrò chiamarla Signor Richards in pubblico e Numero 1 in privato come ho sempre fatto. Le va bene?”
“Benissimo” disse, “una sola domanda. Chi visionava le mie –performance- per tenerne il conto?”.
“Io naturalmente”, disse miss Tippy strizzandogli l’occhio e uscendo dallo studio con passo leggero.
“Simpatica, la mia nuova segretaria”, pensò fra se.
Poi mangiò, e dopo aver firmato le carte per l'adozione si dedicò a cose più serie.

“Cosa fare?”, Ragionò in se stesso. “Un uomo, ha il diritto di cambiare il destino di un altro uomo?
A che titolo arrogarsi una scelta così grande, con le conseguenze e i rischi che ho visto?
Chi sono io per dire ad un altro essere umano che la sua vita è buttata via e dargli invece come alternativa, la mia stessa esperienza?”
Passarono momenti molto difficili nella coscienza di Peter su quello che avrebbe dovuto, potuto, voluto fare.
Poi con naturalezza dipanò questo gomitolo di incertezze.
“Le cose buone sono patrimonio di tutti, se quello che è accaduto è stato un vero bene per me lo sarà anche per un altro nella mia situazione. Non vi è certezza a questo mondo se non nella propria anima. Farò quello che voglio fare, ma non per un mio interesse, in questo modo la mia intenzione sarà pura, libera, non in senso morale, ma libera dal pensiero del profitto”.

Alzò la cornetta e compose il numero personale, trovato nell'agenda sulla scrivania, dell’avvocato Michael Leonardi.
“Avvocato sono io” disse Peter
“Il Numer…” e subito si corresse, “Il Signor Richards mi aveva informato di questa possibilità, cioè di una sua chiamata”
“Dia inizio alla ricerca” confermò Peter
“Ho capito” rispose l’avvocato.
“No Leonardi, lei sa, ma non ha capito”, lo corresse Peter con tono fermo ma gentile.
“Certo, certo…Contatteremo la sua segretaria appena avremo i candidati dalla società di ricerca. Buongiorno Numero 1”
“Buona giornata anche a lei”, concluse Peter e riagganciando il telefono.

Il suo sguardo si posò in angolo della stanza. L'aveva quasi dimenticato.
Riposava in quel posto il suo “regalo”, una scatola voluminosa.
L’apri e trovò una cella criogenia portatile, collegata ad un alimentatore elettrico.
All’interno vi erano tutte le sue parti amputate.
Lo stupore lo fece rimanere a bocca aperta, ma fu nulla in confronto alle poche righe che lesse nella lettera che trovò.
Era del vecchio.

“Troverai in questo contenitore quanto ti è stato tolto, è stato conservato accuratamente e la mia, ora tua segreteria ti indicherà un esperto di microchirurgia che dovrebbe realizzare i trapianti con successo.
Tu sei più fortunato di me, forse te l’ho già probabilmente detto.
Ai miei tempi questa tecnologia non era disponibile, ma sai che il progresso sempre tardi arriva! Sono certo che potresti vivere sereno anche senza, ma perché dire di no ad una condizione migliore?
Sans rancune.”

Piegò il foglio e lo mise nella tasca della giacca vicino al cuore.
“Certo adesso aveva tutto, ma semplicemente perché poteva rinunciare a tutto”, pensò e con la mente andò a quel uomo che non conosceva ma che stava già cercando: il numero 7.

E proprio pensando a quel uomo che sgorgò spontaneamente la frase del vecchio e ne comprese a fondo il senso: “Sans Rancune”, senza rancore, numero 7" disse a bassa voce.
In quel momento una falce di sole disegnò sui vetri della stanza una sorta di sorriso e gli sembrò quasi una conferma che stava facendo la cosa giusta.

Fine

venerdì 20 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte VI-


Lo svegliarono di soprassalto nella notte, in maniera brutale.
Tre uomini robusti vestiti di scuro avevano interrotto il suo sonno.
Il primo pensiero che attraversò la sua mente fu: “Ci sono, è arrivato il mio momento”.

Il vecchio non era stato dunque ai patti. Ora che lui stava per vincere tutto avrebbe perso ogni cosa, ma solo perché l’altro era stato sleale.
“Non si fanno patti con il Demonio”, pensò, mentre si metteva i pantaloni.
“Alla fine si può solo rimetterci con il rammarico inoltre di aver, per avidità, perso molto credendo di acquistare a buon mercato”.
Mise la sua anima in pace. Finì di vestirsi senza fretta e attese la sua fine.
Questa però non sembrò arrivare.

Lo fecero invece salire su un grande motoscafo su cui i tre balordi erano arrivati. Lo avevano ormeggiato al pontile vicino alla villa.
La barca aveva due enormi motori che brontolavano sommessi e producendo dei mulinelli di schiuma bianca nel mare scurissimo.
Lo scafo dondolava per la risacca e urtava con i parabordi di gomma la struttura di legno, questi colpi sembravano i rintocchi di un orologio.
L’aria era fredda, umida e pungente.
Probabilmente a causa di un’imminente temporale che stava arrivando.
Lo aveva annunciato anche la televisione, ragionò fra di sé, forse per quello era vietato il volo notturno.
“Ecco perché non ho sentito arrivare l’elicottero, il destino si presenta sempre con un vestito nuovo agli appuntamenti importanti”, valutò la situazione ragionando ancora.
Sganciate le cime partirono veloci scivolando sopra questo mare di pece, saltuariamente illuminato da una pallida luna che pareva un faro di un carcere che scandaglia il muro di cinta fra il buio e le nuvole.

Il motoscafo saltava fra i marosi a folle velocità, pareva in lotta contro il tempo, ma lui non sapeva con chi o perchè stava lottando.
Di nuovo il pensiero della fine lo attanagliò, mentre erano al largo.
“Ecco, ora spegneranno i motori, mi metteranno un’ancora legata ai piedi e mi butteranno nel mare. Fine della storia.”.

La barca però non accennava a rallentare, impennandosi fra le onde come un grosso Merlin preso all’amo.
“Mancavano ancora due anni alla fine della sfida”, computò nella sua testa. “Avrebbe potuto attendere che inciampassi (come era già accaduto) in un insuccesso, perché anticipare la mia fine? Che senso aveva questo trasferimento?”.
Queste domande senza risposta si infrangevano contro la sua logica come gli spruzzi del mare contro la prora di questa imbarcazione.

“Inutile domandare a loro”, pensò ancora, “quei tre uomini avevano i modi e la faccia di chi non rispondeva alle domande…Caso mai le facevano, le domande!”.

Incomprensibilmente era calmo, non rassegnato, ma calmo.
Già da qualche tempo in lui era pervenuta una tranquillità naturale, ferma, indeformabile agli eventi che anche adesso lo sosteneva.
Ricordò che questo “dono” gli era arrivato dopo la seconda operazione, quando stava per perdere tutto nella nuova scommessa decennale.
Stava per disattendere per la terza volta di seguito il suo obiettivo mensile. Rischiava così di pagare non solo il pegno di una parte del suo corpo ma tutto se stesso.
Si era ammalato di un’uretrite terribile aggravata da un’influenza capitata in quell'angolo di mondo chissà come. Questi due nemici alleati contro di lui gli aveva tolto le forze.
Era così arrivato quasi di fronte alla morte e proprio in quel frangente, aveva saputo abbandonarsi, non da sconfitto, ma da uomo libero.
Inspiegabilmente aveva amato la “nera signora”, nella stessa maniera cui amava la vita.
Questa imparzialità lo aveva trasformato, aveva determinato in lui un ultimo grandioso salto in se stesso e gli aveva permesso di raggiungere un altro stato di coscienza, più profondo, vero, inalienabile.
Era guarito incredibilmente dopo questa “rivelazione”, in due giorni, miracolosamente, e con notevoli prestazioni di recupero si era salvato.

“Salvato? Per quanto?”, si domandò per l'ennesima volta e la sensazione che questa domanda non lo riguardava solo in quel particolare frangente, ma che lo accompagnava in ogni momento della sua esistenza e in quella di tutti ridusse ad una proporzione accettabile un’incognita così grande.

Fu sballottato contro il parapetto a causa di un’onda più alta delle altre e ritornò per un attimo al suo presente, al pozzetto dove era seduto nella barca.
Il timoniere, poco distante da lui, in una posizione sopraelevata maneggiava sicuro il timone, a gambe larghe manteneva la rotta nelle tenebre. Assomigliava un poco alla sua vita.
Aveva dovuto costruire una barca robusta, cioè il proprio corpo, tracciare la rotta disegnando una mappa con punti di riferimento reali nella sua mente, guidare con il timone del proprio sistema nervoso le emozioni per arrivare dove voleva arrivare.
“Dove?”, Domandò a se stesso. “E dove altro?”, Si disse ancora, e in maniera del tutto naturale si rispose: “Alla fine”.
Guardò il cielo, stingendosi nello spesso giaccone di lana grezza che gli avevano fatto indossare e ringraziò le stelle.
Aveva imparato a fare anche quello.

Osservò le sue dita della mano sinistra. Né mancavano tre, due c’erano ancora otto anni prima, pensò, quando, e gli parve che allora fosse ancora giovane, aveva rilanciato la sfida con il Numero 1.
Pazzo? No. Ora sapeva perché aveva fatto una cosa del genere.
Quello che non sapeva o meglio di cui doveva avere conferma era del perché aveva accettato tale sfida il suo antagonista.

Comunque si era sbagliato poiché lo sbarcarono illeso dopo due ore.
Fu trasferito su un fuoristrada e giunsero, qualche ora dopo, allo scalo internazionale. Prese, insieme ai suoi accompagnatori, l’aereo per gli USA.

“Tornava a casa? Pareva ormai quasi certo, se solo lui avesse mai avuto una casa!”, questa battuta lo fece ridere, pescando così lo sguardo torvo dei suoi nuovi compagni di viaggio, che lo squadrarono stupiti con quelle facce da galera.
Avrebbe potuto fuggire, chiedere aiuto, ma lo avrebbero raggiunto comunque, tanto valeva arrivare fino in fondo a questa partita e scoprire tutte le carte del mazzo.

Dodici ore di volo sono lunghe. Approfittò di questo tempo per analizzare la sua situazione alla luce dei nuovi eventi che per un poco avevano cambiato l’idea che si era fatto della sua esperienza, del suo incubo come una volta lo definiva. Adesso aveva una considerazione diversa del suo passato.
L’intuizione che era balenata nella sua anima molto tempo fa, mentre ragionava su quel lettino steso al sole durante l’attesa dell’arrivo del Numero 1, aveva preso corpo nei successivi otto anni.
Quello che allora aveva accantonato come un’assurdità alla luce della sua nuova maturità era risultato vero.

Aveva dubitato, e lo ammise candidamente con se stesso, nel momento in cui aveva visto quei tre uomini strapparlo al sonno e aveva pensato che erano venuti per ucciderlo, ma ora che le cose sembravano seguire una logica era sempre più convinto della sua interpretazione dei fatti.
Aveva però bisogno di un’ultima conferma.

Entrò profondamente in se stesso, percepì la propria integrità completa, si fuse con naturalezza nell’ambiente circostante e in questo modo separò la sua mente dal suo corpo è fu completamente libero.
Dopo un tempo che non avrebbe potuto definire si riappropriò del suo fisico. Sentì che le sue emozioni si erano placate e con semplicità sorse in lui uno stato di serenità, bellezza e perfezione che appartenevano alla “vera” normalità di un essere umano.
In questo modo vide molto più chiaramente la sua realtà.
Poi finalmente atterrarono.

Al di fuori dell’aeroscalo c’era una bella limousine ad attenderli che, veloce su l’highway, li portò lontano, in strade sempre meno trafficate sino in campagna.
Giunti di fronte ad una principesca residenza che si ergeva dinnanzi ad un piccolo lago artificiale, pensò: “La casa del Numero 1, non c’è bisogno di domandarlo ai passanti”.


Camminando nell’ampio salone all’interno di questa enorme casa vittoriana, udiva l’eco dei suoi passi e quello dei suoi angeli custode sulla pavimentazione a scacchiera, bianca e nera, di marmo pregiato.
Lo aspettava, al centro di questo ampio locale dal soffitto alto sino al terzo piano, il guardaspalle del vecchio.
L’uomo pareva una statua posta a monito per i visitatori.
Il gigante congedò con un’alzata del mento i tre balordi che si allontanarono senza una parola. Bastava certo lui da solo a fare per loro tre.
Da vicino sembrava fatto di granito.

La voce che uscì da questo “Frankenstein” fu invece gentile, virile ma con una nota di fondo malinconica e triste.
“Venga, il Signor Richards l’aspetta, mi raccomando…E’ molto malato, ma voleva assolutamente vederla prima…Prima di…Insomma lo vedrà da se”.

Questa raccomandazione quasi materna strideva: con l’uomo che la pronunciava, il contesto in cui era detta e la storia che vi era dietro.
“Era veramente una situazione bizzarra”, ragionò, “ma ogni vita a suo modo lo è nella sua unicità”.

Salirono lungo l’ampia scalinata sino al primo piano dove “boiserie” in legno avvolgevano le pareti facendo da continuazione ideale al pavimento di legno anch’esso ma di tonalità più chiara. Percorsero un corridoio ampio e lungo che si snodava lungo tutto il piano della grande casa, era punteggiato di porte sulla destra e ampie finestre a sinistra, ogni tanto un grande balcone dava uno scorcio del parco meraviglioso.
Le pareti erano impreziosite da dipinti di grande gusto.
Giunsero infine a una sorta di anticamera, ampia e con mobili antichi negli angoli e quasi al centro una coppia di divani gemelli di antica fattura, dove si fermarono.
Gli fu indicata una porta di legno bianco finemente intarsiato che adduceva a una stanza da letto.
Attese pochi secondi fuori di questa stanza e poi entrò da solo.

Disteso nel letto, leggermente sollevato da una pila di grossi cuscini, respirava a fatica con una maschera ad ossigeno il Numero 1.
L’unico segno della sua tempra eccezionale lo davano i suoi occhi.
Erano l’ultima ridotta posta a baluardo della sua vita. Il corpo aveva capitolato già da un po’, ma gli occhi erano illuminati dalla fiamma del suo spirito invitto.
Sorrise, nel vederlo entrare. Un tipo di sorriso che non pensava potesse appartenere ad un uomo così: di una dolcezza infinita e carico di una serenità che pareva già provenire dall’altra dimensione.

“Buongiorno, Peter”, disse il vecchio spostando con la mano maculata di macchie senili la maschera dell’ossigeno.
“Buongiorno Signor Richards, ora conosco il suo nome, ma vorrei conoscere l’uomo che c’è dietro, se possibile”, stranamente le sue parole fluirono dal suo cuore come se il male trascorso non fosse stato che un piccolo inconveniente sul loro comune sentiero.
“Ho chiesto alla morte di aspettare un poco solo per questo”, disse ancora l’anziano con voce nitida,
“Dovevo essere sicuro che ogni cosa fosse al suo posto e come vedi ogni desiderio è esaudito per l’uomo che sa come chiedere”, sorrise ancora e parve ringiovanire per un attimo.
“Hai capito?”, continuò interrompendosi per tossire.
“Si”, rispose Peter.

“Ogni pianta per essere forte deve conoscere le sue radici”, continuò il vecchio, con un leggero fischio nel respiro affannoso.
“Ho preparato una raccolta documentale di chi ti ha preceduto in modo, bada bene, tu possa decidere se continuare in questa difficile cosa o vivere la tua vita godendo ciò che hai conquistato.”, ebbe un singulto che lo interruppe, poi continuò.
“Inoltre, quando non ci sarò più, riceverai un piccolo regalo che ti aspetta nella stanza accanto. E’ il mio studio privato che ora è tuo, come tutto il resto”.

“Lei, ha fatto di me un uomo, insegnandomi con spietata bontà come operare in me stesso un cambiamento dettato da una coscienza libera dal dolore e dal piacere. Una lotta mortale che ho vinto grazie ha sforzi e sofferenze cui mi sono liberamente sottoposto”.
Si interruppe un attimo perché l’emozione lo sopraffaceva, nonostante l'esposizione del suo sentire fosse quasi impersonale.
“No, no” disse Richards, con uno sguardo severo.
“Non devi essere triste! Io resterò nel tuo ricordo come un amico e non come un Maestro, ora tu sei completo”.

“Come mai ora? Perché state morendo?”, domandò Peter.
“Tu eri pronto già da un pò, ti ho ben valutato nella tua crescita. Ti avrei comunque mandato a prendere, la malattia in cui sono incorso è stata solo una circostanza, niente di più”, espose il vecchio con il suo tono pacato e convincente che lo contraddistingueva in ogni occasione.
“Ma io voglio che lei resti ancora un po’ con me”, disse Peter serio, stupendosi dell’affetto che sgorgava da se stesso con naturalezza.
“Il mondo è troppo piccolo per due Numeri 1”, rispose l’anziano intervallando la sua risata ai colpi di tosse.
“E poi…”, aggiunse, “Nulla è per sempre”.

Trascorso qualche secondo di silenzio in cui il vecchio parve riandare con il ricordo in un passato remoto.
“Sappi che anche io ho avuto in dono la tua stessa sorte, ero giovane, molto giovane e vivevo una vita di espedienti, lasciandomi trasportare dalle circostanze come un relitto dal mare.
Quando incontrai il mio mentore, vissi le tue stesse difficoltà, ma patii molte più amputazioni. Paradossalmente persi entrambe le gambe per imparare a camminare. Come vedi ho trovato un allievo migliore di me. Non potevo desiderare di meglio. Perdonami, se puoi, del male che ti ho fatto, ma era l’unico modo che conoscevo per salvarti da te stesso”.
“Voi non mi dovete nessuna scusa, io ho avuto molto di più di quello che ho perso”, lo interruppe Peter.
Il vecchio fece un gesto vago della mano come a scacciare queste gentilezze superflue e concluse.
“il mio tempo è arrivato, ora lascia che mi raccolga in me stesso, ti lascio per un posto migliore non devi affliggerti, la morte è solo un passaggio, una porta niente altro.”, fece ancora una breve pausa e disse le sue ultime parole:
“L’uomo è più grande delle sue sofferenze”.

Gli parve che gli avesse strizzato l’occhio, mentre pronunciava questa frase che gli aveva dato i brividi, ma non né fu sicuro.
Poi sulla stanza calò un silenzio liquido di serenità.
Passarono vicino le ultime ore, senza una parola, mentre il sole faceva il suo percorso nel cielo andando a morire anche lui nella sera.
Come quel uomo affrontò il momento che a tutti tocca incontrare fu il suo ultimo insegnamento.

Ad un tratto il vecchio trasse un profondo respiro e parve quasi sollevarsi dai cuscini, poi espirò lentamente e chiuse gli occhi sorridendo per l’ultima volta.
Il viso pareva quello di un bimbo con le rughe.

Passarono ancora molti minuti.
Una mano delicata si appoggiò alla sua spalla e lo ridestò.
Numero 1, Signore…Prego, ci sono cose che aspettano lei”, disse la signorina Tippy che era entrata da un po’ nella stanza senza fare rumore.

“E’ vero c’erano cose che andavano viste e fatte”, disse a se stesso.
Con passi lenti si diresse nel suo nuovo studio e aprendone la porta, ebbe la netta sensazione che stava varcando una soglia, non solo verso il passato, ma anche verso il futuro.


Terminerà nella prossima parte…