mercoledì 1 ottobre 2008

Il Rito Genovese della Loggia Scozzese parte I


La notte era senza luna e senza stelle come si dice siano le notti adatte per i Sabba.
Il bar Ottolina in via Tito Milvio era deserto. Forse perché era il suo giorno di chiusura o forse perché era stato prescelto dalla confraternita come sede del rito e il Fato era sempre benigno con i membri della setta.
La società segreta “I cugini de Ball” era molto attenta alla scelta delle sedi per la liturgia iniziatica.
Solo un bar Ottolina o in subordine una Bocciofila di periferia potevano avere i crismi geomantici necessari alla bisogna.
Dopo attento vaglio era stata scelta questa sede per la messa più importante, ovvero l’ingresso di una nuova adepta.

Con fare circospetto a bordo della sua Ape 50 amaranto tempestata di opali, il Gran Sacerdote Haemo Royd aspettava nervoso stringendo con le sue mani grandi il manubrio del Motopiaggio.
Intanto il suo vice-vice assistente Jean du Yacht stava cercando di forzare la saracinesca ormai da circa venti minuti senza successo.
“Belin, ma quanto ci mette quel bradipo sedato?”, disse il Gran Muftì rivolto al suo primo ciambellano seduto al suo fianco nel veicolo.
Visir, nel suo abito da Batman, calmo e silente viveva un momento di raccoglimento catartico.
Le sue energie erano concentrate ad evitare la devastante flatulenza che aveva in “canna” e con cui lottava da una buona mezz’ora per evitare che detonasse.
“Pazienza, o Sommo, sapete com’è…il vice-vice Ciambellano e svelto di lingua, ma tardo di mano”.
“Umpf!”, sbottò il Semprecalmo guardandosi nello specchietto retrovisore e aggiustandosi il Turbante Sultanato con il vistoso rubino (falso) nel centro insieme a una piuma (vera) di pavone che adornava il copricapo simbolo del suo potere.

Il fragore nella notte avvisò i cospiratori che la barriera era stata finalmente forzata.

All’interno del locale li accolse un odore stagnante di superalcolici e gazzosa mista a un'effluvio di brioches scadute.

“Jean ancora un po’ e facevamo mattina”, disse Haemo con il suo tono cantilenante, ma avvolgente.
“Quella puttanazza di una schifosissima saracinesca non voleva cedere”, disse il sempreducato Jean, dondolando sui piedi imbarazzato e ricomponendo il giustaccuore del suo vestito Louis XIV azzurrino in sapiente abbinamento cromatico con i pantaloni alla zuava zebrati.

In fondo era l’unico del gruppo che aveva seguito il corso per corrispondenza della Scuola Radio Elettra: “Scasso e furto facile in dieci lezioni”. Il problema era che siccome nessuno aveva pagato le rate il corso si era interrotto alla seconda dispensa...ma questi erano dettagli irrilevanti.

“Dov’è il Visir, dove sono Porporina e Bluvelvet e l’iniziata non c’è ancora?”, ruggì il Profondo, chiamando a raccolta i suoi prodi come Leonida alle Termopili gli spartani, ma intorno a lui c’era solo il vuoto.
Jean appolaiato sul bancone era intento a scofanarsi le brioches del bar e bere a garganella Jack Daniel’s, Visir era in bagno a disincagliarsi dalla cintura lancia dardi di Batman per fare un varco ai vapori che avevano gonfiato enormemente il suo costume.

Un sospiro uscito da sotto i baffi alla Magnum P.I. del grande figlio di Ippocrate e uno sguardo verso il soffitto furono gli unici segni rivelatori del suo disappunto.

Improvvisamente all'esterno si udì un rombo di ciclomotore smarmittato e uno stridire di freni stile "fast and furiors".

Erano arrivate le "ragazze", pensò il Semidivino e si sistemò la veste leopardata che sfiorava l'impiantito slanciando (per quanto possibile) la sua figura ieratica.

Continua...

Il rito Genovese della Loggia Scozzese Parte II


All’interno del Tabernacolo Ottolina ferveva il fermento.

“Jean, vacca troia sistema l’altare per il rito, almeno!”, disse il Gran Sacerdote Royd con un ringhio molossoide.
Con la bocca ancora piena di brioches avariate il buon vice-vice Ciambellano scese malvolentieri dal bancone e cominciò ad apprestare nella sala biliardo i paludamenti sacri.
“Visir!”, chiamò Haemo a se il fido Primo Ciambellano.
“Yawoll!”, disse l’uomo pipistrello aprendo le falde del grande mantello nero e calandosi dal soffitto dove era appena levitato.
“Pensa ad istruire l’Iniziata…Mi raccomando: PRECISIONE.”, scandì lentamente l’ultima parola, il Sommo, per essere certo che tutto funzionasse a dovere.
“Ed apri la finestra…non capisco come in questo bar, specie in questo angolo, ci sia una puzza indescrivibile”.
“Ri-yawoll!”, aderì Visir che conosceva le lingue straniere in maniera approssimativa.

Le candele furono disposte a pentacolo, il biliardo fu ricoperto dalla sacra coperta patchwork, dono della nonna di Haemo e adorna nel centro del vistoso emblema della Loggia: un barboncino con la lingua penzoloni che tenta una copula impossibile su uno dei bracci di un grande compasso.

La luce era fioca a causa delle candele di sego prese al discount da quel “genovese” di Jean du Yacht che facevano poca luce. Solo il neon dell'ingresso funzionava, così il volenteroso vice-vice tentò di accendere tutte le luci attivando l’impianto elettrico, ma causò invece un corto circuito mostruoso.

“Belan la madama! Prima le donne poi i bambini”, gridò Royd, sorpreso dal buio inaspettato e immaginando un blitz delle teste di cuoio.
Comparve invece Jean con una candela in mano, ma tutto bruciacchiato. Aleggiava un curioso vapore azzurrino intorno alla parrucca bianca da cicisbeo che indossava nelle grandi adunanze, quindi disse: “L’impianto elettrico è andato! Celebreremo nell’ombra”.

Solo il pensiero delle vestali che stavano per fare il loro ingresso nell’abside lenì il disappunto del grandissimo figlio di Ippocrate che, inspiegabilmente, storse leggermente il naso appena fu affiancato dal fido Visir nel suo abito da supereroe ormai quasi sgonfio.

Questo quadro che per maestosità ricordava un dipinto di Velasquez, presentò i tre figuranti agli occhi delle due vestali e della novizia che entrarono in pompa magna (scusate la parola).


Continua...

Il rito Genovese della Loggia Scozzese -Ultima Parte-


Il trio Virago, così denominato amabilmente dai membri maschili della confraternita esoterica fece il suo ingresso nel Tempio già perfettamente allestito.

Bluvelvet in abito tradizionale tirolese da pastorella con pecora impagliata al seguito.
Porporina con un vestito seicentesco, modello “Pompadur”, di tafetà rosa antico e un neo finto a forma di cuore sulla gota sinistra.
Da ultimo, la novizia Pipoca, in gonna scampanata, scarpe basse e golfino aderente da ballerina di rock acrobatico, perfetta riproduzione di teen-ager anni 50’.

Jean du Yacht deglutì rumorosamente, forse alla vista delle splendide dame o forse per le brioches non ancora perfettamente masticate che gli occludevano l’ugola.
Il sempre concentrato Visir accese il suo Mp3 collegato all’impianto Hi-Fi della sua cintura multiuso e diffuse nei locali una musica avvolgente: l’adagio di Albinoni cantato dagli Abba versione live, quasi introvabile.

Il grande Taumaturgo Haemo Royd apri le braccia in un inequivocabile gesto benedicente.
Vennero così eiettati petali di rosa dal suo dispenser portatile sistemato nella fascia infrascapolare a mo' di zainetto.

La tensione era palpabile come avrebbe potuto dire un maniaco sull’autobus.

La supplice adepta Pipoca si inchinò con leggiadria verso i compagni e fu raggiunta dal Ciambellano Visir per essere accompagnata all’altare nella stanza rituale.
Visir, non molto pratico del vestito di Batman che aveva preso in prestito dal suo vicino di casa (noto pervertito), inciampò nel mantello e avanzò a testa bassa di alcuni passi scomposti verso la danzatrice di Boggy-woggy.
Colpì la poveretta con una “craniata” proprio sulla fronte che la fece stramazzare a terra a gambe all’aria in un volteggio degno della Comaneci.
“Cominciamo bene”, fu il commento lapidario della sagace Porporina.

Il Lenitivo Royd sollevando le maniche in un gesto che gli era congeniale disse: “Fate largo sono un medico…Opererò immantinente”, poi rivolto a Jean du Yacht continuò, “il bisturi e il divaricatore, presto!...La stiamo perdendo”.
Per fortuna, la giovane allieva si riprese quasi subito evitando così una tracheotomia lampo che era una delle specialità, insieme alle cozze marinate, del Grande Vate della chirurgia.

La messa continuò quindi dopo questo piccolo disguido con le frasi di rito.

Haemo leggeva dal sacro libro della Loggia recitando le frasi dal sapor antico ed oscuro che si srotolavano sul pavimento come un rosario blasfemo.
Gli occhi di brace, la voce cavernosa, il viso ispirato, davano alla figura un patos immenso.
Non si era avveduto, il grande sacerdote, pregno dell’estasi, che la candela sorretta dal vice-vice Ciambellano Jean era pericolosamente vicina al suo turbante che aveva cominciato a prender fuoco proprio dalla piuma di pavone che campeggiava sulla sua fronte.

Visir tentò di avvisarlo con piccoli colpi di tosse, ma il Sommo lo zittì con uno sguardo severo.

Gli eventi degenerarono in pochi istanti.

Il fumo invase la stanza.
Dimentico di tutto il Semidivino Royd gridò: “Chi cazzo si fa le canne durante il rito?”, poi guardò inquisitore l'ignaro Jean du Yacht che cercò di indicargli con l'indice teso le fiamme, ma inutilmente.
Il captativo Visir, estrasse da una tasca segreta del costume di Batman un mini-estintore al protossido di Azoto e diresse un getto criogenico contro il fuoco, ma nella concitazione riuscì solo a congelare il dito al povero Jean Du Yacht che emise un barrito terrificante.
Bluvelvet e Porporina cominciarono a gridare forse per suggestione ipnotica, forse semplicemente si erano rotte le palle di questo casino e volevano andare a casa, anche perchè l'indomani ci sarebbero stati i saldi e bisognava svegliarsi presto.
L’Adepta si alzò dal biliardo votivo sul quale era distesa e disse: “Io chiamo il 112, anzi me ne vado con le mie gambe finche sono in tempo”, indi ratta fuggi dalla saracinesca divelta.

Il buon Royd con il turbante ormai preda del fuoco capì che forse aveva ingiustamente incolpato il suo vice-vice di fumare in sua presenza senza “passare” e prima di bruciare come un Bonzo vietnamita, roteò su se stesso alla maniera di un Derviscio in una disperata danza Sufi che spense, giusto a tempo, il suo cervello.
La tragedia però incombeva.

L’ululato della sirena che si udì in lontananza riportò la concentrazione per un attimo nel famigerato gruppo.
“LaPulaCazzoPuttanaTroiaLuridaBagasciaImpestata!”, disse il sempre educato Jean cercando di scaldare con il fiato il dito congelato e simile ad un Calippo.

“Via, via”, disse Porporina che era già in strada e aveva accesso il suo motorino: “Lotar”.
Accelerava nella notte nella attesa di Bluvelvet, la quale saltò al volo atterrando con un certo impeto sul sellino e facendo impennare il ciclomotore che partì come razzo nel cielo, pareva una V2 tedesca diretta su Londra.
I tre bischeri ormai nella confusione totale salirono alla bella meglio sull’Ape 50. Solo il cicisbeo Jean non trovò posto all’interno e dovette accontentarsi del cassonetto.
La fuoriserie rapida come una lumaca con l'artrosi si dileguò alla vista delle luci blu della forza pubblica.

La “Gazzella” dei Carabinieri si fermo con uno stridere di freni e scesero i due militari con le armi spianate.
I due prodi tutori dell’Ordine si guardarono in faccia perplessi.

“Brigadiè”, esordì l’appuntato Esposito Lo Cascio al capopattuglia Rotunno Romolè.
“Stò a pazzià o agge visto nu cicisbeo du setteciento cou’na parrucca da frocio in'goppa a n'Ape Piaggio tempestata te pietra preziuse?”
“Appuntà…io agge visto Batman assieme a uno co’u tubante, preciso allo mio medico della mutua, che guidava chilla fetenzia du motocarro”
“Veramenta?”, disse Lo Cascio.
“Faciteme o piacere!”, rispose Rotunno con le mani congiunte e aggiunse: “Simmo vittime du mobbing…Appuntà, o'mobbing fa pazzià, o’sapete?”.
“O’sape, o’sape”, concluse l’appuntato rassegnato.

Poi decisero di entrare nel bar oggetto di effrazione e stilare il rapporto.
Nella comunicazione all’Autorità Giudiziaria fu omesso naturalmente ogni riferimento ai fuggitivi.
Le indagini portarono invece all'arresto della pecora impagliata sorpresa sul luogo del reato. Dopo la condanna esemplare, l'animale fu tradotto presso il penitenziaro cittadino e, forse complice la convivenza coatta, si dice sia divenuto l'amante di un noto Boss dei Caruggi anch'egli detenuto, ma questa naturalmente è un'altra storia.
Della conserteria invece non se ne seppe più nulla di certo anche se pare continui in gran segreto la sua opera munifica.
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Fine.