sabato 12 dicembre 2009

Poveri ma belli - 2 -



Offresi pene per conversione ai dialoghi (astenersi perditempo).

martedì 8 dicembre 2009

Poveri ma belli.



Belin, non ci ho capito un cazzo!

venerdì 27 novembre 2009

Conversazioni natalizie

-Ma se io ti scopassi la moglie saremmo parenti?-
-No saremmo pari!"

giovedì 26 novembre 2009

Uomo, il tuo nome è legione.


Era talmente schizzofrenico che per prendere anche la minima decisione doveva indire un'assemblea condominiale dentro se stesso.

sabato 21 novembre 2009

Coca Cola

Wow!!!! Che enorme pacco! Mi brami? disse lei
No è una lattina di Coca Cola, l'ho messa a scaldare che troppo fredda mi fa venire il picchio. Rispose lui.

mercoledì 18 novembre 2009

C'è grossa crisi.


C'era talmente crisi anche nel mercato immobiliare che l'anacoreta dopo lo sfratto dovette diventare un peripatetico.
Il fachiro perse il lavoro perchè si era mangiato tutte le spade.

La donna cannone dimagrì a tal punto che non si trovò un'arma di così piccolo calibro per lanciarla.
Provò con il trapezio, ma fu un tracollo.

Il funambolo sconvolto perse il filo del discorso e cadde.

Gli unici che non conobbero difficoltà furono lo scultore di statue di fumo e il lanciatore di baci, per loro c'era sempre lavoro in questo mondo.

Meravigliosamente fluttuanti sull'onda del diagramma economico.

sabato 14 novembre 2009

Crisi

Era Crisi, crisi nera, per nutrire le tigri i guardiani dello zoo dovettero ricorrere ad alcuni passanti.

martedì 13 ottobre 2009

A grande richiesta...Allegria!


La statistica ci segnala che possiamo contare in tutto su venticinquemila giorni; forse qualche migliaio in più per qualcuno.
Dopo non ce ne saranno altri.
Per nessuno.
Sì: anche per me che scrivo, anche per te che leggi, sarà subito sera.

Memento mori.
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venerdì 9 ottobre 2009

Nudo e Crudo


Potrebbe capitare anche a voi e a me è successo di interrogarmi su cosa sono.
Perché dico “cosa” e non “chi”? Semplicemente perché non voglio partire per questo piccolo viaggio con dei preconcetti.
La mia osservazione mi ha portato a notare che il tanto esaltato “uomo” in realtà non è altro che una macchina. Un sistema organico, distinto e condotto da un organo molto complesso che chiamiamo cervello.
Ora, la bellezza del corpo è evidente nella sua perfezione meccanica, ma la mente? La cosiddetta mente esiste o possiamo definirla semplicemente un prolungamento sensoriale, un’architettura più complessa del cervello? Che senso ha poi sminuzzare e cavillare con le definizioni, il risultato è evidente.
Parliamoci chiaro: il cervello non è che un drogato.
Regolata da delicati equilibri biochimici la nostra, presuntuosamente definita, vita emotiva è determinata da sostanze che sono costantemente ricercate tramite quello che ingeriamo e più ancora con le situazioni e gli stimoli della realtà soggettiva.
Uno stato di dipendenza febbrile e cronica che fa sembrare al confronto un tossicodipendente all’ultimo stadio un fiore di primavera.
Questo è presentato al mondo come l’uomo moderno, libero, il supremo araldo dell’evoluzione, ma di che? Ma per favore..
In “nuce”, l’uomo, ha forse la possibilità di auto determinarsi, di emanciparsi dalla meccanicità dei pensieri e delle risposte stereotipate, ma un Uomo così io non l’ho mai incontrato, ho trovato persone parzialmente complete, ma nessuno libero da se stesso.

Questa riflessione, su cosa sono, mi accompagna da quando sono nato. Almeno dal momento che la mia memoria ha cominciato a registrare una serie di eventi e il mio cervello a iniziato a darne un senso. E’ naturale. Il cervello deve dare un senso a tutto; La sua funzione è di prevedere, interpretare, dividere, scomporre e infine trovare, in una serie di dati diversi, una correlazione cioè: un principio e una fine. Proprio per questo non fa altro che dividere tutto in due, in/out come un chip di un computer.
Di fatto l’interpretazione della realtà, la creazione delle religioni, della morale segue questo criterio: giusto/sbagliato, bene/male ecc. ecc.
Io penso che questo sia solo un modo di vedere le cose e neanche troppo funzionale.
Un modello adattabile a certi eventi, utile magari per progettare un’automobile ma nulla di più.
O provato a parlare con qualche d’uno di una nuova visione delle cose, di una diversa interpretazione della realtà che esula da questa dicotomia, ma mi ha preso per matto. Quindi di solito non parlo più di questi argomenti, però continuo a rompere le palle scrivendone talvolta, sono dei barlumi di coscienza personale cui mi diletto mettere nero su bianco.

Metto subito tranquillo chiunque legga queste parole: non ho soluzioni.
Se per caso siete alla ricerca di risposte andate a cercarle altrove e risparmiatevi la noia della lettura, lungo questo sentiero non si arriva da nessuna parte, perché non c’è posto migliore di quello in cui si è.
Dico che non ho soluzioni anche perché non credo che l’esistenza sia un problema ma semplicemente un fatto.

Certo non è un giardino di delizie, dove mi giro vedo sofferenza e se non la vedo è solo perché sono distratto o non ho voluto vedere.
Perché poi la realtà dovrebbe conformarsi alle mie aspettative? Io sono solo un suo ospite e per giunta momentaneo.
A volte resto attonito pensando che la vita è una condizione misteriosa creatasi da incredibili correlazioni e interdipendenze che ha determinato per esempio che io (?) ora sia qui a scrivere.
Il panorama completo mi sfugge, ma posso osservare i particolari e da questo “buco di serratura” è presuntuoso per me affermare qualunque cosa.
Volendo azzardare però tutto, ma proprio tutto, può essere spiegato senza tirare in ballo l’anima, Dio e tutti i santi canonizzati, e spesso una ipotesi più semplice è anche la più esatta.
Però a me non interessa spiegare un bel niente, a me piacerebbe vivere, ma vivere veramente, in un mondo reale a contatto con persone reali.
Su questo pianeta non trovo nessuno che non pensi ai soldi e non è schiavo di se stesso prima di essere un tiranno quando può o un servo degli altri quando deve.
Se volessi giudicare me stesso non mi sentirei onestamente di chiamarmi completamente fuori di questo, però con tutte le mie forze cerco di liberarmi.
Sono un detenuto in cerca di evasione, sto scavado un tunnel con la forza delle unghie, dovè sbucherò non ne ho idea. Nel caso vi mando una cartolina appena arrivo.
Questi miei compagni di cella mi appaiono come carnefici e vittime a secondo le circostanze della bieca convenienza.

Senza alcun ritegno sento parlare le persone della loro vita.
Importantissima, probabilmente solo per loro, in cui riversano ogni genere di ambizione e patema d’animo.
Pare che quando parlano di se vogliono vivere in eterno, anche se a me sembrano già morti da un bel po’.

Avete mai visto questi settantenni in giro per il mondo? Un delirio di viaggi. Vogliono vedere tutto in quindici giorni per poi tornare a fare la spesa al supermarket sotto casa e continuare il loro tran-tran che ha lo stesso spessore di una suola Vibram. Sono sempre trepidanti, forse per l'attesa di una nuova spedizione? Pare che non si possono presentare al Padreterno se non hanno tutto il passaporto timbrato!

I Ragazzi? A me paiono delle mezze seghe con sguardi da triglia, masticano avidamente tutto quello che gli metti davanti, senza il minimo discernimento.
Il loro unico senso di sopravvivenza è concentrato nel divertirsi ad ogni costo, senza sapere cosa veramente gli possa dare felicità.
Senza un ideale che possa rendere più grande la loro realtà.
Sedati da un condizionamento capillare, vogliono tutti le stesse cose che li renderanno tutti finalmente uguali: delle pecore.
Quelli di mezza età (come se ci fosse una sorta di contratto con Dio per vivere almeno ottanta anni) mi fanno ancora più una pena.
Pseudo quarantenni drogati di lavoro, alla ricerca spasmodica di un parcheggio per il Suv, con i loro abiti tutti uguali e l’alito pesante da acidità cronica di stomaco. Le mogli finte che sembrano di plastica con quelle voci isteriche e quei marmocchi viziati, impauriti e piagnoni. Il trionfo del nulla.

Vogliamo parlare del sesso? Una fregatura di proporzioni colossali sia per l’uomo che per la donna. L’uomo, che gli corre dietro come un cane. E la donna che lo esercita come un potere per tenere a bada il “cane”.
A volte i ruoli si ribaltano, ma non cambia un fico secco. E’ tutto una sopraffazione col trucco pesante di una baldracca, anzi peggio, almeno quella è sincera e non si ammanta di una nobiltà che non ha. Alla fine è solo una questione di mero interesse.
Un panorama umano desolante non so se si è capito.

Oggi stavo andando al lavoro in metropolitana e davanti a me camminava un vecchio (so che non bisogna dirlo), ebbene questo “vecchio” camminava anche abbastanza spedito, ma senza una vera trattoria cioè, sapete com’è, mi dava l’impressione che se gli fossi passato vicino mi avrebbe certamente urtato. Non che mi desse fastidio, ma pareva proprio vivere in un mondo avulso da ogni relazione.
Emanava un odore di dopobarba scadente, di quelli che usano i “vecchi”, tipo: sandalo e tabacco, ma alla fine il sentore che spargeva era di vetusto, ammuffito.
Avrei voluto prenderlo per il bavero e chiedergli: “Ma dove vai? Dove corri?”, ridestarlo dal suo torpore letargico. Se fossi veramente un uomo buono avrei dovuto invece sparargli alla nuca, semplicemente. Abbatterlo come un cavallo zoppo, per pietà, proprio davanti a quelli che aspettavano l’arrivo del treno. Sarebbe stato un grande insegnamento per tutti.
Scusate ma non avuto il cuore di farlo.
Poi mi sono domandato: Voglio ridurmi così? No.

Campare così e non essere più utile a nessuno, essere un uomo che è costretto a rivivere le stesse giornate noiose…Basta!
Quando toccherà a me mi farò forza e leverò le tende senza un fiato, spero di avere questo minimo di coraggio, un sussulto virile nei confronti del fato. Se mi ammalo gravemente non mi faccio curare, ho deciso.

Ecco li, sta moltitudine decrepita, che fa la fila negli ospedali e in farmacia.
Si fanno operare, sezionare e trapiantare di tutto, vivono (?) pieni di cannule e cateteri in qualche letto di ospedale, senza dignità, per rimandare ciò che è inevitabile.
“Si è salvato”, si dice di qualche guarigione inaspettata. “Ha solo rimandato un appuntamento certo”, penso dentro di me.
Capita anche che giunti alla terza età (che parole ipocrite) appassiscono rincoglioniti dai sedativi in qualche residenza per anziani.
Se gli va bene, o sono ancora in casa propria o a rompere i ciglioni ai parenti, passano la loro giornata abbruttendosi davanti alla televisione con la De Filippi che urla nelle loro orecchie ormai sorde a qualunque novità.
Tutto pur di continuare a stare su questo palcoscenico, anche solo per un giorno ancora. Non sono mai paghi della noia delle loro giornate, sono avidi di vita.
Se potessero si mangerebbero tra loro pur di continuare a pascolare.
Trascinati dal loro stesso destino, visto che non vogliono andarci incontro.

Li avete mai visti, i vecchi, quando si incontrano fra loro? Fanno la conta dei morti, l’elenco dei mali, poi si salutano augurandosi in cuor loro di crepare dopo l’altro.
Li aspetta di solito una pastina sciapa da mangiare in solitudine, un letto freddo dove non c’è amore e nonostante tutto sono incatenati alla loro stessa pena che considerano, pensate un po’, preziosa.
Bisogna aver il coraggio di mollare, quando è troppo è troppo.
Fuori le palle, un attimo e via, fine della storia, lasciamo il posto a un altro.

Salto come mia abitudine sopra spunti di vita, attimi rubati, colti al volo.
Probabilmente sono sottilmente uniti, più che da un filo logico, da una sensazione come quando si cerca la strada dopo essersi perso.
Perso e perché mai? Non devo mica andare da qualche parte.
Non è poi così importante.

La filosofia ormai pare disdegnata dalle persone.
La saggezza poi è da sempre ignorata, a me pare che è l'unica cosa logica da ricercare, il fine dell’uomo.
L’arte di vivere o come è altrimenti detto "la conoscenza di Dio e dell’Uomo", alla quale si arriva, o si dovrebbe arrivare, attraverso la vita.
Una vita però nella sua accezione più ampia, bella perché vera, grandiosa perché vissuta pienamente, poetica perché abbraccia il mistero e perché no, eroica. Un eroismo fatto, non di imprese, ma di pratica della virtù e di esercizio del vero bene.

Invece si pensa solo a riempire la “panza” dimenticando poi la fine che faranno queste pietanze così avidamente e faticosamente ricercate, ma voglio essere magnanimo, magari si riempisse solo quella.
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E con questo finisco prima che cominci a parlare sul serio.

Notte invernale

Alvaro, disse Vasco stringendosi forte al suo compagno sotto il caldo piumone nella fredda notte invernale, ho una smania, un'agitazione, un tremito interiore che non mi fanno dormire.

Aspetta che ti metto il vibratore a velocità 1, vedrai che dopo andrà meglio. E si riaddormentò.

Ti amo per il tuo pragmatismo, disse Vasco, mentre una lacrima gli rigava una guancia.

lunedì 5 ottobre 2009

Ambizioni

- Vorrei diventare ufficiale.
- Che grado?
- Tenente.
- Al momento cos'è?
- Nullatenente.

giovedì 10 settembre 2009

Il senso della vita

" Sei già un membro?"
" No per ora son coglione ma ci sto lavorando su"

mercoledì 19 agosto 2009

Legami o légami!


Un breve squillo del cellulare carpì la sua attenzione: un messaggio.
Era lei; Già da una settimana non aveva avuto sue notizie. Il suo telefono sempre spento, nessuna risposta ad un paio di sms che le aveva inviato.

Era certo lontana, sicuramente la ricezione era pessima, ma una sensazione nella sua pancia gli diceva che non era solo così.
Così lesse: "Sono tornata e adesso sono al lago! E' stata una settimana molto intensa. Mi sono divertita tantissimo! (un altro punto esclamativo).
Ho conosciuto una persona nel mio gruppo e adesso ci stiamo frequentando. Mi dispiace dirtelo in questo modo, ma è meglio del silenzio. Un bacio".
Rilesse: "E' meglio del silenzio", poi pensò a cosa rispondere, era un’eventualità che aveva comunque già considerato nella sua mente, né aveva viste tante che ormai le sentiva prima. Certo che…

Ripensò a quante donne aveva lasciato e come.
Ripensò a quante lo avevano lasciato e come.
Non si sentì onestamente di giudicarla male.
Il rapporto fra le persone a volte gli sembrava una rissa da bar, tutti contro tutti, tutti alla fine feriti, pesti, storpiati e nessuno vince mai.
Una volta suo padre gli aveva detto che un buon attore si capisce da come entra in scena, ma un grande attore si riconosce da come ne esce.
Da quanto lascia attaccato in chi l'ha veduto, ascoltato, amato. Nel ricordo che nell'anima conserva della sua presenza, custodisce una traccia e lascia un’eco.
Forse la differenza era tutta lì.

Più viveva e più la vita gli sembrava sempre meno una commedia e sempre più un dramma.
Il valore, però non lo giudicava già da un po' dalla lunghezza della rappresentazione, ma dal suo contenuto.
Un contenuto fatto di come ci presentiamo agli altri e da cosa, andandocene, lasciamo dietro di noi.
Avrebbe voluto scrivergli che, forse, si era meritato una spiegazione a voce, ma poi...Rispose solo con un breve sms: "Che dire? Felicità" (si trattenne da mettere il punto esclamativo).
Chissà se lei coglierà mai la melodia nascosta in una frase così stonata?
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Poi un pensiero malevolo balenò nel cervello: “L’amore di una buona madre è per un uomo, il modo che Dio ha per scusarsi delle donne”.
Si affrettò a riconsiderare questo pensiero sessista: “In fondo la stessa cosa è per le donne con un buon padre".
..
Passò un po' di tempo, tranquillo, con la mente silenziosa e poi sorrise inspiegabilmente.
Dentro nel cuore gli si aprì un arcobaleno di gioia.
Non era insensibilità. No, era solo oltre.
Un pensiero lo attraersò velocissimo: "Forse ho vinto una piccola battaglia con me stesso, forse è questa la differenza fra -vivere- e -saper vivere-".
Questa constatazione riposava nel suo cervello, senza bisogno di didascalia, senza ulteriori spiegazioni, libera dalla presunzione.
Poi, parlando ancora a se stesso disse: "La Felicità non sempre arriva insieme alla realizzazione dei desideri, a volte giunge anche quando sappiamo farne a meno. Bisogna avere solo le mani libere".
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Mani libere e calde pensò... E fu una sega magnifica.
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mercoledì 29 luglio 2009

Metropolis


“Nocciolato e pistacchio, con amarene e panna montata”, disse Zenit dall’alto del suo metro e novanta.
“Uguale”, aggiunse lesto Nadir, guardandosi attorno. Il paesaggio era grigio vicino a quel chiosco della Stazione.
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Passanti frettolosi, sbuffi di gas venefico dalle automobili e dagli autobus facevano da contorno a questo momento di pigrizia.
Mangiavano in silenzio, con avidità.
“Non bisogna parlare”, disse Nadir, e come sua abitudine infrangeva così la regola che enunciava.
“Sennò non si gusta il gelato”, continuò rimestando con la paletta di plastica nella coppa grande come un trofeo.
“Già”, rispose Zenit deglutendo una robusta porzione di panna.

“Perché altrimenti non si apprezzano le combinazioni”, incalzò dopo qualche attimo Nadir.
“Eh si! Le combinazioni”, confermò di rimando Zenit, mentre rincorreva un’amarena che non voleva farsi acchiappare nascondendosi sotto una spessa coltre di nocciolato.

“Vedi, ora mischio il pistacchio con la panna, poi invece con l’amarena, poi ancora assaggio il mix di tutto, quello che si forma negli angoli del bicchierino di carta, quella curiosa striatura di gusti che pare il dentifricio a strisce…Come si chiamava?”, domandò ancora Nadir con il cucchiaino a mezz’aria.
“Chi? Il dentifricio?”, chiese stupito Zenit, rimanendo anche lui con il cucchiaino a mezza altezza.
Quei due cucchiai parevano montacarichi attigui che avevano deciso di fermarsi un momento allo stesso piano.

“Acquafresh!”, lo anticipò Nadir colto da illuminazione.
“Esattoooo!”, confermò Zenit, indicando il compagno con la coppetta di gelato come in un brindisi.

Seguirono poi momenti di raccolto silenzio.
Era una serata d’estate afosa che non voleva diventare più fresca nonostante il sole se ne fosse andato da un po’.
Nadir continuava a guardarsi intorno inquieto, poi finito il gelato disse:

“Che schifo di città, puzza. Puzzano anche le persone. Tutti questi immigrati, questi gialli, neri, arabi, indiani mi pare che puzzino, puzzino di disperazione”
“Eh? Forse”, commentò Zenit
“Sono razzista? Spero di no, è solo che mi sembra così squallida la metropoli. E' peggiorata man mano, ed ora la guardo e mi fa schifo”.
“Ti ricordi Giorgino?”, chiese Zenit.
“Il Laido?”, rispose Nadir.
“Proprio lui”, assentì Zenit e continuò
“Sai perché lo chiamavano così?”
“No, perché?”
“Gli piacevano gli uomini sporchi”, disse Zenit guardandosi intorno come per sincerarsi che la rivelazione non poteva essere udita da orecchie indiscrete, poi continuò:
“Gli piacevano e li pagava”.
“Li pagava?”, chiese incredulo Nadir con una nota di ingenuità.
“Si, ma prima li sporcava, e poi se li faceva…Sì insomma capisci, prima li doveva sporcare ed era un casino, gli doveva dare anche i soldi per la tintoria, dopo”.
“Pazzesco!”, disse Nadir scuotendo la testa, poi distese il volto corrucciato e aggiunse:
“Ecco perché la settimana scorsa l’ho visto così contento! Era sempre triste e ora è il più felice del mondo, questa è diventata la sua città ideale.
E’ come per un topo in una fabbrica di formaggio. E' come per un orso quando i salmoni risalgono la corrente!”

“Proprio così! Ora spende quasi un cazzo. La fortuna di uomo è la sventura di un altro”, disse Zenit e con un sospiro aggiunse: “Ora li trova già belli e pronti…Vuoi un altro gelato?”.
Nadir: “No, sono a posto così, andiamo?”
“Si dai, che mi scappa una pisciata che non ti dico”, sbottò Zenit notoriamente insofferente ai disagi.

Si appartarono in angolo un poco lontano e Zenit salì su un muretto e in cima, in bilico cominciò a sbottonarsi la patta.
“Ma che fai? Sei matto?”, rimbrottò Nadir preoccupato.
“Ma se mi scappa”, rispose con innocenza Zenit.
“Mica per quello! E che se caschi ti fai male”, aggiunse Nadir e poi “Aspetta che ti tengo”
Così dicendo lo abbrancò per i fianchi.
"Non mollare dal culo però", aggiunse ancora preoccupato Nadir.
"Tranquillo, tranquillo", disse Zenit col suo migliore fare rassicurante..
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Mentre si liberava dal fluido in eccesso partorì una sua filosofica sentenza:
“Ah! Cosa vuoi di più dalla vita, una bella pisciata, quando ti scappa e un amico che ti tiene per non cadere!”
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giovedì 23 luglio 2009

Conversasioni Lombarde

“ Cum l’è negher l’fiulin! Bronzato?”
“L’è propi negher, l’uma catà in Africa, fiol de brava gente, el so papa’ l’fa l’giustaombreli”
“Bel mestè…ma…l’piov in Africa?”
“ Mai”

Il caso insoluto, ovvero lo sfogone estivo.


Mi pare, e qualche volta mi sembra proprio vero che ciò che si vive abbia un perimetro definito.
Come su un palcoscenico. Oppure in una stanza, forse in una gabbia da dove, una volta che se ne è esplorati i limiti che la definiscono non se ne possa uscire.
Le parole dette, i sentimenti provati, le sensazioni, oltre un certo punto non sono più nuove.
Si ripetono nella sostanza e solo apparentemente appaiano attimi diversi solo perché siamo molto distratti.
Con licenza poetica direi che le emozioni sono una vecchia baldracca che non diventa più giovane perché si cambia il vestito ed il rossetto.
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Nella realtà dell’essere la voce del cuore è sempre uguale a se stessa.

E’ come nei telefilm di Derrick, il commissario tedesco, dove le diverse puntate sono interpretate dagli stessi attori.
In una puntata magari uno interpreta il colpevole e in quella dopo la vittima, anzi direi che nella realtà è ha volte il contrario e se possibile ancora peggio.
Gli attori cambiano, ma il copione è lo stesso.
E’ qualche cosa di terribile anche solo pensarlo, ma non ci posso fare niente: è così.
Lavorare, parlare, baciare, incazzarsi, ubriacarsi, scopare, alla fine è sempre la solita storia.
Anche i traumi della vita che ci capitano addosso, oltre a un certo grado non arrivano mai.
Il dolore oltre una certa soglia non può andare, anche il suo potere ha un limite.
Così tutto si svolge nell’ambito del già visto, in sottofondo c’è sempre lo stesso sapore, lo stesso odore come in una cucina dove il sentore stantio delle stoviglie e degli stracci bagnati soverchiano il gusto di qualunque pietanza.

E’ così solo per me? E’ così per tutti? Fa troppo male ammetterlo ed allora è meglio raccontarsela? Mi viene da domandarmelo, anche se la risposta è nascosta sotto il pelo dell’acqua come un caimano pronto a mordere, basta aver il coraggio di smuovere la superficie e non aver paura.

Quanto possiamo contenere? Quanto, mi domando ancora, possiamo “realmente” sperimentare?
Cercando di guardare onestamente in me stesso mi devo rispondere con una constatazione nichilista, cinica sicuramente senza speranza.

Sono sempre lo stesso. Sono sempre uguale nella sostanza. Mi sento identico al bambino che ero a tre anni, nell’adolescente scapestrato dei sedici anni, nell’uomo maturo dei quaranta e sarò lo stesso per il vecchio che fa capolino dallo specchio e che arriverà, anzi è già qui nascosto sotto la pelle. Aspetta solo il suo turno per affiorare alla realtà.
Non mi sono mosso di un passo. Ho sognato di viaggiare, ma sono sempre stato nel mio letto.

Ieri mi sono improvvisamente visto nello specchio. Sapete come capita.
A questa immagine riflessa ho posto una domanda terribile: “Chi sei?”.
Ma questa figura non ha avuto cuore di rispondermi, allora ho cominciato a radermi.

La schiuma bianca sulle gote, la lama che creava man mano una piccola strada rosa fra questo paesaggio imbiancato.
La mia attenzione è stata rapita in questo gesto. Il rumore dell’acqua mentre ripulivo il rasoio per poi riprendere a disegnare un altro sentiero sulla mia faccia.
Ero come ipnotizzato dai cerchi dell’acqua nel lavandino.

E mentre mi facevo la barba, il mio stesso fare mi allontanava da questa inquietudine, da questo enorme interrogativo, da questo abisso senza fondo che provavo nel guardare dentro di me.
Ecco! Ho pensato, muovendoci nel mondo, credendo di “fare” ci distraiamo da noi stessi, ci consoliamo come bambini spaventati dal buio che cercano la mamma e nella sua carezza trovano la pace illusoria di essere al sicuro. Al sicuro? Non c’è nulla di sicuro, questa è la spietata verità…Nulla.

Dentro questo nulla, nulla cambia e forse è l’unica sicurezza.
Osservo come se appartenesse ad altro la vita che scorre in me e trascorre fra le cose che accadono senza essere mai veramente determinate.

Uno muore, l’altro nasce. Una donna mi bacia, poi non mi bacerà più. Se né forse è andata? E’ mai stata “veramente” qui?
Oggi amo e domani proverò solo indifferenza. Allora non ho mai amato? Non ho mai veramente toccato, ma tutto mi è scivolato addosso come pioggia sui tetti la notte?
Cosa mai di originale è scaturito in me? Libero dai condizionamenti, dal sentito dire, dalla memoria.

Ho calpestato la polvere sul proscenio dell’esistenza e penso che un giorno quella polvere sollevata ricadrà esattamene da dove è venuta e io con lei. Credo forse, perché sollevo una piccola nuvola, di vivere?
L’oblio silenzioso e senza traccia alcuna è lì che aspetta da vincitore e ride delle mie considerazioni.
Il mondo può fare a meno di me, ma io di lui non posso.
Gli appartengo ed è solo vanità e follia credere che è lui che appartiene a me.

Ho guardato allora fuori dalla finestra e ho visto il vento che arrivava da lontano, spostava i rami degli alberi per poi rimetterli al loro posto con cura…Ed era già passato un momento.
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sabato 4 luglio 2009

La combinazione


La vacanza era alle porte, ma da giorni la valigia rigida, da aereo, era nel corridoio, chiusa, serrata, perché Giacomo non ricordava più la combinazione della serratura.
La moglie gli suggerì ogni data possibile; il loro matrimonio, la nascita del figlio, la data della laurea, le prime cifre del loro numero di telefono. Niente, la perfida era sigillata e impenetrabile.

A tutti e due seccava dover affrontare nuovamente una simile spesa, oltretutto la valigia era semi nuova, comprata da Giacomo per un viaggio di lavoro che aveva dovuto fare all'improvviso, e nei giorni successivi si arrabattarono per pensare a quale data si fosse ispirato per creare il magico blocco.
Poi accadde l'imponderabile: la segretaria di Giacomo li invitò alla sua festa di compleanno, insieme ad altri amici e colleghi, ed il giorno dopo Marina, per caso, compose la data del giorno precedente sulla serratura: e come un novello sesamo quella si aprì.
Per le vacanze dovettero comunque comprare un'altra valigia, perché la finalmente dissigillata fu fracassata sulla testa di Giacomo molto prima che lui confessasse che sì, il viaggio di lavoro era in realtà stato una fuga a Venezia con la segretaria.

Morale: la combinazione fu ritrovata per combinazione.

lunedì 22 giugno 2009

La venticinquesima ora


Vivere è distillare dalla Vita la parte migliore, come un profumo che è fatto di essenze mescolate per crearne la fragranza.
Percezioni, sensazioni, emozioni, sentimenti, intuizioni, come un buongustaio, da ogni frammento trarne un prezioso boccone.
Per chi vede il mondo dei fenomeni esiste un inizio e una fine, chi vede la realtà invece sa che non vi è inizio né fine.

Dispiacersi dell'ultima ora di vita è dispiacersi di tutta la propria vita.
Lei si approssima sempre veloce. E' quel fatidico ultimo giorno che arriva sempre presto.
Immaginando di avere a disposizione pochi minuti di vita, forse un’ora appena mi ritrovo a spronarmi per godere di più, osare di più.
Come affronterò il giudizio più spietato: quello di me stesso?
Come avrei potuto, mi domando ancora, provar piacere e assaporare di più ogni istante?
Provaci ora! Mi risponde il cuore.

Preparandomi alla morte imparo a vivere e se perfino la sabbia con il tempo diventa polvere, non è proprio il caso di badare alle convenzioni e alla reputazione. Resterà così poco di quanto trascorso.
Morire per “sempre” a questo mondo è un onore che va guadagnato.
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La vita non è mai gratuita e si paga con la moneta del tempo.
Tempo che ci è stato regalato, ma quanta valuta abbiamo ancora nelle tasche non ci è dato di saperlo.
Non voglio più spendere è il momento di cominciare a guadagnare, e realizzare così in quel giorno, forse in quella ora una morte perfetta.
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Creo per me la venticinquesima ora: ogni giorno.
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giovedì 18 giugno 2009

Incontri

Aspirante parlamentare, o eventualmente conduttrice di programma di punta su un canale a caso, riceve utilizzatori finali dalle 10 alle 19.
Via Napo Torriani - Citofonare Samantha.

lunedì 15 giugno 2009

Ma è amore ?

La vide scendere dallo scooter. La gonna aderente le fasciava i fianchi, due gambe lunghe e perfette erano fra i suoi punti di fascino.

Il cuore gli balzò in gola. Lei si tolse il casco e scosse i lunghi capelli biondi, e quasi lo abbagliarono.

E il suo cuore nuovamente ebbe un balzo.

Lei si tolse gli occhiali; due fanali azzurri lo colpirono e lo folgorarono. E il suo cuore si fermò.

Mentre era sull'ambulanza che lo portava in ospedale si tolse faticosamente la maschera dell'ossigeno e disse all'infermiere del 118: meno male che è un infarto, temevo di essermi innamorato, e allora sarebbe stato peggio, ma molto peggio.

giovedì 11 giugno 2009

Agenzia ANSIA

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Ieri uno squilibrato ha cercato inutilmente di assalire il noto rapper -Muamar- in arrivo a Ciampino per il suo European Terrorist Tour.
Il sociopatico sfruttando una certa somiglianza con un noto uomo politico e camuffandosi grazie ad una folta parrucca è riuscito ad avvicinarsi all'artista.
E' stato però fermato dal temibile servizio d'ordine (tutto femminile), il famoso Amazon Security Team, pochi attimi prima di compiere il suo gesto scellerato.
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Pare inoltre che durante le fasi concitate dell'arresto, il malato di mente abbia detto, riferendosi ai modi draconiani del servizio d'ordine: "Ostrega! Ma queste menano! Però che belle zinnone nere c'hanno! Altro che Noemi".
Parole criptiche e di sapore oscuro che sono ora al vaglio degli inquirenti.
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La Rock Star straniera è rimasta comunqe illesa, ma ha preteso un risarcimento di 20 miliardi di euri dallo Stato Italiano che verrano puntalmente versate in comode rate annuali dai contribuenti.
I concerti si svolgeranno regolarmente secondo le date stabilite, presso i più noti teatri tenda (beduina).
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Nella foto: l'attentatore (di spalle) nei momenti che precedono la tragedia appena sfiorata.

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mercoledì 10 giugno 2009

Il fine giustifica i mezzi

biiip biiiip biiiip fece il cellulare di Marco, impegnatissimo in una riunione aziendale al calor bianco.

E ora chi è, porcaccia della miseria.

"Ragazzi, non ce la faccio più, mi separo. Ho bisogno di parlarvi. Vediamoci stasera alle 7 al solito bar".

L'autore dell'sms era Simone, uno dei 4 moschettieri, un gruppo di amici che aveva condiviso scuole, sport, università, successi e sconfitte.

Anche gli altri due componenti del gruppo ricevettero il medesimo messaggio, e puntuali come sempre si ritrovarono seduti al loro solito tavolino.

Ragazzi, disse tutto d'un fiato Simone, non ce la faccio più. Sono mesi che siamo in crisi, non condividiamo più niente, lei non ha mai tempo per me, è sempre più distratta, incattivita, assente. Non mi ricordo nemmeno più come sia fare sesso.
Me ne vado, non ha senso vivere una vita così, non abbiamo più niente da dirci.

Marco lo invitò a ripensarci, a ragionare, a pensare che forse anche Rossella provava le stesse sensazioni sue, che forse erano in un periodo di stress e che avevano bisogno di una vacanza da soli, per ripensare al loro amore, che era stato folgorante e commovente per tutti.
Una bella vacanza alle Maldive, eh ?

Pensa ai bambini, gli fece eco Roberto.

Bambini ? Ma se non ne abbiamo nemmeno !

Cosa c'entra ? Avrete amici con figli, o magari quando avrete fatto pace ne avrete, no ?

Le nostre mogli sentirebbero la mancanza di Rossella, sempre gentile, ironica, pronta ad aiutare gli altri.

Sentite ragazzi, io sono pieno di dubbi, di stanchezza, di disillusione, di voglia di evadere.

Simone pensaci, non si butta via così una vita insieme, pensa a quanta strada avete fatto insieme tu e Rossella.

La conversazione andò avanti per diverso tempo, fino a che Simone parve convinto, turbato ma cosciente del fatto che Rossella non meritava così tanto dolore, e promise agli amici che tornato a casa le avrebbe parlato ed avrebbero programmato una vacanza da soli, per riscoprirsi.

I tre amici rimasero soli, fino a che Marco parlò: - Roberto, sei sicuro vero ?

- Certo che sono sicuro, ho riguardato il regolamento, non ci sono dubbi.

- E allora abbiamo fatto bene, non c'erano alternative.

Il regolamento del calcetto aziendale diceva a chiare lettere che in caso di cambiamento di stato - da fidanzato a single - da sposato a separato - da separato a riaccasato - il cambio di squadra da scapoli ad ammogliati, e viceversa era automatico, senza possibilità di discussione.

Sentite, disse Marco, Rossella è una stronza, piena di sè, supponente, crede di avercela solo lei e mia moglie le darebbe fuoco, ma un centravanti come Simone dove lo ritroviamo ?

martedì 9 giugno 2009

Mentire paga

PORPORINA OSPITE DI HAEMO



Rosina era in ritardo, come al solito. Doveva fare la spesa, ritirare il cappotto di suo marito in lavanderia, e se l'ufficio postale era ancora aperto prendere quella raccomandata; di sicuro un'altra multa, che suo marito non avrebbe mancato di rinfacciarle.

Si lavò le mani, e il troppo sapone che aveva usato le fece scivolare via dal dito la fede nuziale. Il cerchietto d'oro fece un giro nel lavandino, come un ciclista indoor, e saltò fuori.
Lei lo raccolse, ma il sapone che ancora aveva sulle mani glielo fece nuovamente scivolare di mano, e stavolta le cadde nel water.
Cominciò ad agitarsi, a pensare di essere una stupida come suo marito velatamente le diceva di continuo.

Si infilò dei guanti di gomma, e un po' schifata infilò la mano nell'acqua del water, ma nel fare questo appoggiò la mano allo sciacquone, che fece partire la sua gorgogliante cascatella d'acqua e si portò il segno visibile del suo matrimonio come una cacca qualsiasi.

Noooooo, disse scoppiando a piangere, e ora ? Se glielo racconto, quando torna, non la finirà più di rinfacciarmelo, di dirmi che sono una goffa e senza speranza, e si guardò allo specchio, scostando dal viso un ciuffo di capelli, bagnato di lacrime.

Era arrabbiata, delusa di se stessa, disperata per questo ennesimo disastro. Ma le donne, si sa, sono coloro che dall'abisso sanno risorgere, e così fece.

Quando suo marito rientrò a casa gli corse incontro con la mano sinistra tesa verso di lui.
- Cosa noti in questa mano ?
- Che avresti bisogno della manicure, nemmeno una colf le terrebbe così.
- Guarda meglio tesoro bello. Non ho più la fede al dito, come vedi. L'ho persa oggi in un motel, dopo aver fatto sesso selvaggio col mio amante in una vasca idromassaggio piena di essenze profumate. Al momento di scaricare l'acqua, insieme ai resti della nostra passione, si vede che se n'è andata come un residuo qualsiasi. Vado a fare i bagagli, me ne vado con lui.

Lui, solitamente pungente e reattivo ebbe solo la forza di dire: ho bisogno di stare da solo.

Riemerse dallo studio dopo dieci minuti, con gli occhi rossi di pianto, e le disse:
- Rosina, ti amo come non ho mai avuto la forza di dirti, e capisco solo ora quanto ti abbia fatto soffrire la mia freddezza ed il darti per scontata, fino a che non hai incontrato un uomo che capisce quale tesoro prezioso tu sia.

Mettiti il vestito più bello che hai, andiamo a cena in qualche ristorante romantico, ho voglia di corteggiarti e di dimostrati che solo io sono l'uomo per te.

Rosina ciabattò verso la camera, e suo marito non poté vedere il sorriso beffardo che le brillava sul viso.

lunedì 18 maggio 2009

Peones y Bandoleros


La mia esposa stava al fiume señor... a lavare... un gringo l'aggredì... e la voleva... io ho corso in suo aiuto... avevo il coltello... quello mi guarda con gli occhi spalancati... e muore.
No sabe, nel cadere avrà battuto la testa, io gli ho dato solo qualche coltellata!
Voi gringos siete dei bastardi... volete le nostre donne e se uno vi da' una coltellata vi offendete!

mercoledì 13 maggio 2009

Tranche de vie

POST DI PORPORINA OSPITE DI HAEMO



Ti amo ancora di più, disse lei, quando cucini per me, ed affondò golosa la forchetta nel risotto alla marinara.

Non so cosa dirti, in effetti quest'anno i gerani non hanno avuto una fioritura bella come l'anno scorso, disse lui, che come tutti gli uomini non aveva ascoltato un cazzo di quello che lei diceva.

Lo medicamento


Brancaleone:-"Ah... la milza!" , dolorante al fianco, dopo il duello .
Teofilatto dei Leonzi: -"No, ivi ci sta lo fegato".
Brancaleone:-"Ah sì? Spesso mi dole".
Teofilatto dei Leonzi:- "Bollitura di cetosella, finocchio... zolfone... malva... tutto insieme... Bere a digiuno!".
Brancaleone:-"Bono remedio?".
Teofilatto dei Leonzi:- "Eh... ti ribolle dentro come sciacquare una botte, poi per lo dietro ti esce uno gran foco... e tu sei guarito!"
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lunedì 11 maggio 2009

Il tatuaggio

PREMESSA IMPORTANTE: QUESTO E' UN RACCONTO SCRITTO DA PORPORINA, CHE NON RIESCE AD ACCEDERE. HAEMO LE HA DATO UNA PROVA D'AMORE PRESTANDOLE IL SUO ACCOUNT. PAGHERO' IN NATURA IN SEPARATA SEDE.


Arvaro (con la R) si era fatto fare, finalmente, il tatuaggio che desiderava da anni. Un po' sotto l'ombelico, a filo pube. Una scritta orientale che, a detta del tatuatore, significava " da qui si accede al luogo delle meraviglie, e chi vi accede avrà vita lunga e felice".
Le solite pallosissime metafore orientali, ma alla fine il risultato era superbo.
Arvaro aspettava l'estate per mettersi i pantaloni a vita bassa, con l'elastico della mutanda similarmani che fuoriusciva, e il nero disegno che occhieggiava.

Le ragazze lo guardavano per la strada, e vedeva che in particolare le Giapponesi (o erano Cinesi ?) ridacchiavano, si davano di gomito e qualcuna più audace addirittura allungò le mani verso la cerniera dei pantaloni e gli disse qualcosa di incomprensibile.

Un giorno nella sua officina di truccatura motorini, falsificazione contachilometri e bucatura marmitte si presentarono Pi-Nin e Pin-nao, in cerca di un'auto usata per andare in vacanza.
Arvaro si alzò dal lavoro che stava completando, e così facendo scoprì l'addome.
I due, seppure nel modo sobrio che li contraddistingueva, si guardarono e un lieve sorriso increspò le loro labbra.

Bello eh sto tatuaggio, e' donne mpazziscono pemmé.

Ah sì, disse Pi- Nin, anche quelle che non amano la nostra cucina ?

machestaiaddì, rispose Arvaro.

beh, disse compitamente Pi-Nin, l'esatta traduzione in Italiano del suo tatuaggio è: da Cheng, involtino primavera caldo ad ogni ora. Prezzi modici.

Arvaro quella notte non dormì, e si passò la carta vetrata sulla pancia fino a sanguinare

Porporina.

Revolution


Oggi sciopero contro l'assenteismo.

martedì 21 aprile 2009

Zenit e Nadir


Lo Zenit (noto al mondo come il Pizzarro) e il Nadir (Nazir) sono le due antitesi occulte che sostengono una tesi fra le più fondamentali.
Quale? Naturalmente la legge alchemica del "Menga" che nella tradizione Sufi dei Dervisci corrisponde alla danza rotatoria che porta alla catarsi.
Nei due omologhi viventi invece (Il Nazir e Il Pizzarro) si manifesta con una notevole rotazione delle parti basse del corpo, quindi potremmo definirla una sorta di danza interiore, scrotale, nascosta certamente esoterica.

Il Pizzarro (a volte tradotto come Bizzarro) è l'archetipo dell’ego, ma non un ego normale, bensì un ego superdotato ed erroneamente definito: "Cazzone".
Esso è nell'immaginario comune: "il Palese", "il Manifesto" e a volte anche "La Gazzetta dello Sport".
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Di converso il Nazir appare invece, nell'universo fenomenico, schivo, malleabile e rappresenta invece il nascosto, l'inverno Belga, l'acqua fredda delle Fiandre.
Egli è dunque l'inconscio; Ed anch'esso erroneamente viene definito come incosciente, sacrestano, bilingue, falsone.
Nello sciamanesimo Andino viene chiamato: "El Pajero".
Tutte queste sono però interpretazioni semplicistiche di questi due Psicopompi e gli aggettivi detrattivi sono palesemente forvianti, ma esatti.

Nei millenni queste anime raminghe vagano a ramengo.

Una (Il Pizzarrone) sorvola le terre emerse in costanti pellegrinaggi (la Francia ultimamente con le sue cattedrali pare essergli congeniale).
A volte vive in piccole isole ospite di lussuose residenze messe a disposizione dai suoi occasionali consanguinei, nel caso sono utili anche gli affini oppure i semplici conoscenti, purchè abbienti.
Come un Cuculo, il Pizzarro, depone le sue due uova nel nido ospite e, una volta giunte a maturazione, vola via.
Qualcuno potrebbe definirlo un Maestro del trascen-dente, di cui conosce ogni otturazione.
Egli dispensa con generosità le sua saggezza stomatologica ammaestrando le genti alitanti ed esultanti.
Però la sua anima inquieta sente sempre il bisogno di partire (senza assicurazione alcuna) per non essere confinata mai in un rapporto, in una soluzione che vivrebbe come una trappola.
E' il mutamento personificato e stropicciato.
Solo in questo continuo cambiamento egli trova la certezza, appoggiandosi talvolta al bastone che la Natura gli ha offerto (nella tradizione cinese definito come -il Drago con un solo occhio-) per riprendere fiato e ricominciare un nuovo pellegrinaggio.
Saltuariamente torna alla avita magione pascendosi nelle immense stanze del giusto riposo.

L'altra, il Nazir (Nasune nella traslitterazione italiana) invece non si sposta mai.
Apparentemente immutabile, il suo corpo pare non essere scalfito dal tempo (ingordo e corruttore) se non per delle curiose capigliature sempre più rarefatte con cui si adorna (per altro con scarsi ed incerti successi estetici).
Vive in un piccola stanza, una sorta di antro, di foggia mediorientale molto tranquillo.
Nei pressi di questo luogo sacro di elaborazione interiore e meditazione trovasi un animale Totemico: il Ciro, guardiano dalla forma gnomica e dalla voce di Putto che ne protegge il riposo e funge da sentinella impavida a questo Tabernacolo.
Sorvolando sugli aspetti esteriori il Nazir è come detto il naturale contrappunto al Pizzarro, in una simbiosi osmotica di non facile definizione.

Questi due "elementi" sono come Yin e Yang i due famosi scoiattoli giapponesi. Essi però non vivono insieme e non litigano per le noci, ma alla fine è uguale.

Nella loro, a volte, polverosa esistenza, indulgono nel gioco degli scacchi che li accomuna nelle notti di plenilunio in un curioso rituale che li avvince in una sfida mortale.
I due contendenti, contrapponendosi con astuzia levantina e barando, a volte spudoratamente nel gioco (in ispecie il Nazir), dipanano, discorrendone le problematiche relative alla vita, alla morte e soprattutto al parcheggio dell'automobile. Nascono così discussioni filosofiche di alta caratura, ma di nessuna utilità pratica.

Essi in questo modo esplicitano e significano una saggezza molto Zen, ovvero: agire oltre lo scopo.
Per loro non è importante vincere, ma umiliarsi vicendevolmente con una denigrazione che nel Pizzarro è palese, mentre nel Nazir sorniona ed epistolare.
Questo apparente conflitto è epifania di una eterna riconciliazione.
E’ un costante moto di "Vaffanculo-Ti voglio bene" di Tankrediana memoria (solo di livello molto raffinato).

Alla fine questa dicotomia trova pace con il loro più sagace commento, un "mantra" antico, rivelatogli dal Marchese Alberto degli Ulivi , un Rosacrociano di grande saggezza creatore del Rito Massone Antico e Accettato dei Piedi Dolenti.
Il motto magico viene proferito di solito alla fine dei loro convivi, alle prime luci dell’alba in una sorta di celebrazione .
Così come il nembo di Giove Pluvio addita il cielo scagliandosi sulla terra, esso viene pronunciato inaspettatamente, come una folgorazione.
L'oratore di turno con voce greve, recita: "E' tutto un magna-magna", e proferita la sentenza di solito su di loro cala un silenzio pesante come un sudario.
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Infine si salutano con un cenno, e tornano alla propria vita come se non ci fosse un domani.
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lunedì 20 aprile 2009

Tributo a Nikos Kazantzakis


Beato l'Uomo che nel medesimo tempo e
in una sola carne vede
la bella maschera e il volto mostruoso che essa cela.

Poichè solo Lui con grazia e dignità
potrà suonare il doppio flauto
della Vita e della Morte.
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martedì 31 marzo 2009

Lo strano caso umano di Dio


Il problema con Dio penso sia che non ha padre né madre, non ha nipoti, cugini, affini quindi non ha radici.
Nessuno cui rendere conto. Con un background del genere non ci si deve stupire se le cose vanno come vanno.
Certo Dio è uno ma è anche trino, cioè c’è il padre, il figlio, ma non c’è la madre (chissà poi perché) in corrispettivo di questa c’è un piccione detto spirito santo. Chi, come me, vive in una grande città sa quanto questi volatili sono un vero disastro, specie per la carrozzeria della autovettura.
Dio si è fatto conoscere al mondo grazie ai messia, prima la gente nasceva, scopava e si ammazzava come adesso, ma viveva nel peccato.
Il più importante, il primo è stato Mosè. Quello del Messia è un lavoraccio, a volte va bene a volte va male (vedi per esempio la prematura fine del signor Gesù), ma diciamo che le soddisfazioni si hanno a lungo termine, nell'altra vita (?), di cui nessuno sa un cazzo ma se ne parla come se fosse l'ultima località visitata in vacanza l'anno scorso.
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Come dicevo il primo messia delle principali religioni monoteiste (giudaico-cristiana-mussulmana) è stato il signor Mosè. Bimbo abbandonato e adottato dalla figlia di un Faraone egizio in circostanze poco chiare. In età matura si rese conto che non avrebbe avuto sbocchi di carriera con gli Egizi e ci provò, riusciendoci, con gli Ebrei (che forse allora erano un pò meno sgamati).
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Mosè incontra Dio nel deserto, poteva magari incontrarlo al supermarket nel reparto surgelati, ma allora non erano stati inventati e la gente forse, a quei tempi, si incontrava nel deserto.
Il Vecchio Testamento racconta come andò, anche se le versioni sono leggermente diverse a seconda che si legga “L’Esodo” della versione ebraica o il “Deuteronomio” della versione cristiana.

Il nostro Mosè obbedendo ad una voce nella sua mente (?) salì sul monte Sinai e vide un cespuglio che bruciava senza consumarsi (già allora esistevano gli effetti speciali come nei film di Gorge Lucas).
E chiede: “Chi sei?”.
Ora non vorrei sembrare polemico, ma domandare ad un rovo incandescente "chi sei", solo perché nella testa si sente una voce che ti chiama non mi sembra molto normale. Ok, sorvoliamo sulla normalità altrimenti non si va avanti in questa storia, quindi:

Mosè: “Chi sei?” (timido)
Rovo incandescente tempestato di fiamme: “Io sono colui che è” (con voce cavernosa).

Niente male come risposta, condivisibile, moderna.
Qualsiasi giovane vi potrebbe dire: “Io sono quello che sono”, un’affermazione (tautologica) cui non è possibile aggiungere nulla, ma che in realtà non dice molto.
Va bene, soprassediamo anche sulla logica e ritorniamo allo strano incontro.

Mosè: “Cosa vuoi da me?”.
Domanda più che legittima da fare ad un cespuglio in fiamme (Ok, Ok, non insisto).

Lichene eruttante lapilli infuocati: “Sono Dio, tu d’ora in avanti mi chiamerai Yahvveh”
Un passo avanti, direi determinante, almeno abbiamo un nome, un indizio, ma le cose si fanno subito complicate.
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Mosè: “Ah! Vabbè”
Dio: “No Yahvveh!”
Mosè: “Vabbè”
Dio: “Yahvveh!”
Mosè: “Vabbè”
Dio: “Yahvveh!”
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La cosa durò per quaranta giorni e quaranta notti, poi entrambi passarono al punto successivo, anche perchè cominciava a piovere a dirotto, un vero diluvio (forse mi confondo? Noè, Mosè, Yahvveh, vabbè alla fine è sempre la stessa storia).
Comunque l'incomprensione è indicativa di una certa difficoltà da parte di Yahvveh alla comunicazione, all'ascolto delle problematiche dell'altro e all’ironia del linguaggio (chiara sindrome del figlio unico senza figura genitoriale di riferimento).
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Dio: “Tu non avrai altro Dio all’infuori di me”.
Ecchecazzo! Ci siamo appena incontrati, avrà pensato Mosè, e già scattano le pretese. Il rapporto diventa immediatamente monogamico.
Manco una cenetta, un happy hours, un caffè per conoscersi e zacchete Mosè si ritrova inguaiato.
Egli in quel frangente non dice nulla, forte dell’incomunicabilità precedente ci rinuncia da subito e lascia parlare il cespuglio.

Dio “ Ti darò dieci comandamenti che porterai al tuo popolo, che diverrà il popolo eletto e farete schiattare d'invidia anche gli americani. Finché farete quello che dico io andrà tutto bene; Altrimenti so cazzi vostri”.
Insomma alla fine il succo del discorso è sempre quello, o fai alla mia maniera o ti tempesto di sfiga. Alla faccia del libero arbitrio.
Si passa da un Faraone che è un Dio vivente, al quale Mosè poteva almeno rivolgersi (in fondo erano parenti) e se ne trova subito un altro che è anche peggio, un essere invisibile, assenteista e sordo a qualunque domanda, una Entità che appena amata comincia subito a comandare (come una sorta di moglie), dimostrando un ego smisurato, vendicativo e con "nuance" di onnipotenza.

Ora se c’è un popolo che è stato sempre sfigato sono proprio gli ebrei. Non hanno mai avuto una terra, le hanno prese sempre da tutti. Nelle barzellette ci fanno sempre la figura dei rabbini. Mezzo mondo non li può vedere, l'altra metà li vuol far fuori, figurati se non erano il popolo eletto che gli capitava!
Qualcuno direbbe: un po’ se le sono andate anche a cercare. Però questa è un’altra storia.
Melgio tornare alle tavole della Legge che mi sembrano, a voler essere buoni, un pochino contraddittorie.
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I Dieci Comandamenti (wrooom, rombo di tuono)

1° Io sono il Signore Dio tuo (è questo si era già capito).
2° Non nominare il nome di Dio invano (con i fraintesi che ci sono stati da subito si capisce il perché).
3° Ricordati di santificare le feste (e chi se ne scorda, non si vede l’ora dopo una settimana di lavoro di riposarsi in santa pace).
Ora però viene il bello.
4° Onora il padre e la madre.
Certo ma detto da uno che non li ha pare strano. Mi domando dobbiamo onorare i genitori, proprio tutti? Anche quelli che si vendono i figli, che li picchiano, li stuprano, che li condizionano con delle assurdità che gli rovineranno la vita? E poi gli psicanalisti che fanno? Cambiano lavoro?
Queste domande non sono state poste dal buon Mosè che non discuteva con il rovo, prendeva appunti e basta, senza commenti a latere.
5° (Questo è forte) Non uccidere.
Vero, questo è un crimine abietto, ma se per esempio mi trovassi legato con una mano ad un termosifone e a pochi metri da me un pazzo sta per schiacciare il tasto “finedelmondo”, attivando tutte le bombe atomiche dell’arsenale mondiale che ucciderà tutta l’umanità ed io avessi a disposizione una pistola e potessi fermarlo solo sparandogli in testa (il suo dito è già sul bottone “strart”) che faccio? Gli sparo o non gli sparo?
Meglio che lasciamo perdere questa ipotesi assai improbabile. Allora parliamo degli animali. Li mangio?
Perché "non uccidere" significa "non distruggere la vita", e anche una mucca è viva, ma è viva anche una pianta e allora che faccio non mangio più? Ok ora che siamo tutti a dieta passiamo avanti.
6° Non commettere atti impuri.
Quali sono? Mettersi le dita nel naso? Fare su e giù con una bella ragazza? Grattarsi il sedere? Impuri per chi? Dove? Quando?
Insomma se abbiamo delle regole sensate che siano chiare, univoche, condivise magari ci proviamo a rispettarle. Non credete? In ogni paese invece la morale cambia, quello che in un luogo è una virtù in altro è una schifezza. L'unica certezza sembra essere il dubbio. Passiamo con plastica agilità al prossimo.
7° Non dire falsa testimonianza.
Questo è giusto! Ma mi domando: anche al fisco iniquo? Alla suocera malefica? Al giudice corrotto o prevenuto? Anche se le leggi non le ho fatte io e qualche altro le ha scelte per me? Se una legge è sbagliata o se un sistema giudiziario è distorto devo essere sincero? E se sono minacciato da un criminale, da un clan mafioso, posso dire il falso o devo farmi fare a pezzi? Alla Tim posso mentire o devo sempre rispondere sinceramente ai loro sondaggi?
8° Non rubare.
Ohibò! Questa è davvero forte. Sono 40.000 anni che l’uomo esiste su questo manicomio di pianeta e si sono già spartiti tutto prima che nascessi.
Si sono presi la terra, ci hanno messo il filo spinato, hanno detto: E’ MIA! e nessuno gli può dire più un cazzo. Si sono inventati le eredità e tu non puoi farci nulla.
Il trisavolo ha recintato un appezzamento e si è messo di guardia con la carabina ed ora è tutto del bisnipote: che minchia vuoi tu!
Rubare non si può, ma allora le tasse? Gli stipendi dei parlamentari? Le buonouscite milionarie degli amministratori delegati delle aziende fatte fallire proprio da loro? Insomma se mandi in bancarotta una multinazionale è una operazione di alta finanza, se una banca truffa i risparmiatori consigliandoli di comprare bond argentini è una fluttuazione del mercato instabile, se ti portano via la casa aumentandoti il tasso di interesse del mutuo con percentuali da usuraio va bene, ma se i soldi li prendo io ad una banca è un furto.
Loro possono rubare ma gli altri no, non è strana questa cosa?

Si sono fatti i monopoli, i cartelli, le lobby, i pedaggi, le nazioni con i confini, le televisioni private pagate da tutti, i partiti.
Insomma si sono accaparrati tutto prima e quando nasci ce l’hai in quel posto, c’è sempre qualcuno che avanza un diritto prima di te.
Puoi provare a comprare un oggetto da un altro morto di fame come te, ma il prezzo chi lo stabilisce? Il mercato naturalmente, ma non il mercato sotto casa ma quello economico che non si capisce dove sia e come mai fa aumentare tutto senza dare spiegazioni logiche. Tutto deve aumentare, sempre, non si torna mai ai prezzi di prima, ma perchè?
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Originale, non trovate? Nasciamo tutti nudi, ma alcuni (molti) sono più nudi e come mai? Perché si è sempre fatto così e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.
Bene anzi male, ma passiamo alla sfera privata che magari va meglio.
9° Non desiderare la donna di altri.
Come se la donna fosse una proprietà, un camper. La donna è un camper questa è una rilvelazione che mi spiega perchè ho sempre amato il campeggio.
Penso che un uomo la donna d’altri la vuole trombare (se è carina) non desiderare, però se a desiderarti è una donna? Cioè la donna può desiderare l’uomo, ma l’uomo no? Qui si fa discriminazione sessista e non va bene.
10° Non desiderare la roba di altri.
Come? Prima si accaparrano tutto, nasco è sono già gravato da un debito nazionale, ci sono vincoli, prelazioni, brevetti su ogni cosa creata e immaginata e non posso manco desiderare?
Tempestano ogni comunicazione di pubblicità, il 90% delgli oggetti che un uomo possiede sono solo un'esibizione del proprio stato sociale, del proprio benessere accumulato e poi non devo desiderare? Allora perchè tutto è messo in mostra?
Se una persona vivesse sobriamente non sarebbe oggetto di desiderio, mi pare.
Poi scusate chi possiede un bene (il cosiddetto proprietario) prima, prima di diventarne padrone, non l’ha desiderato?
E questo bene non era di qualche altro? Quanti di voi trovano per strada qualche cosa di valore che non è di nessuno? Nessuno appunto.
Allora che cosa facciamo? Sino al 57 D.C. potevi desiderare, ma dopo no?
Le cose comunque appartengono sempre a qualche altro perchè non le devo desiderare se in questa società tutto è una seduzione. L'economia mondiale su cosa si fonda se non sul desiderio? Se veramente sono cose così blasfeme il Papa (l'attuale Amministrare Delegato di Dio) non dovrebbe fare comunella con i cosiddetti grandi imprenditori. Senza parlare dello I.O.R. e del patrimonio immobiliare del Vaticano.
Ma la Chiesa desidera "solo" l'anima, si dirà (coro d'arpe e voci bianche).
L'anima? E cos'è? Ma se vivo dentro questo corpo da quando son nato e non l'ho mai vista ne trovata, ma voi dite che c'è, che è mia, che è eterna pure.
Se è così ma perchè la volete voi?
Vi pigliate già l'ottopermille e volete anche la mia anima? Datemi indietro almeno i soldi e magari vi lascio l'anima che tanto a me non serve, vivo bene lo stesso.
Forse sbaglio. Magari è solo da quando lo leggi che il comandamento diventa valido? Una sorta di partita I.V.A. che come l'apri sei già fottuto.
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Vorrei saperlo giusto per capire da che parte mi devo mettere con il culo a ponte in questo gran casino...
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Zap!
Visir è incenerito da un fulmine nonostante la giornata tersa e solleggiata interrompendo così la battitura del presente articolo.
"Oh! Signur", Pare abbia detto il meschino prima di annichilirsi in un mucchietto di polvere.
Continuerà, forse, a scrivere grazie alla sua anima ammesso riesca a trovarla.
Se una tale possibilità esiste anche questa andrà pagata e il prezzo è alto.

lunedì 30 marzo 2009

Accidia


Era così pigro, ma così pigro che smise di respirare e morì.

lunedì 23 marzo 2009

Introspezione


Stava riflettendo e così si era spinto in fondo, forse troppo rispetto ai suoi limiti.
Era sceso profondamente e aveva osservato con attenzione il panorama che cambiava. Prospettive tenebrose e sepolcrali andavano disegnandosi davanti ai suoi occhi. Non era mai stato un ottimista ma ora gli pareva che ogni cosa si tingesse di nero.
Il respiro affannoso e il freddo che cominciava a entrargli nelle ossa furono le avvisaglie che si era certamente spinto troppo oltre.

Non aveva dato ascolto ai consigli di sua madre che lo voleva ragioniere.
Non aveva neppure ascoltato suo padre che lo voleva sposato, magari con dei figli da crescere.
Non era rimasto con gli amici che lo volevano a casa, invece era sempre in giro per il mondo come un vagabondo.
Aveva sempre cercato qualche cosa di più senza però trovarla.

In un inspiegabile moto di ebbrezza gli sovvenne la sua gioventù come in un film. Fotogrammi scomposti passarono davanti ai suoi occhi scorrendo a casaccio con le immagini della sua vita. Rivisse una miscellanea di momenti, importanti e banali, in un collage senza forma e senza soggetto.

A cosa era servito vivere, amare, soffrire, lottare se ora doveva finire?
Quale era il senso di questo lungo viaggio che non portava a casa?

Furono gli ultimi pensieri, poi il mare immenso come una pietra tombale parve schiacciarlo.
Chissà poi perchè aveva scelto di fare il palombaro.

martedì 17 marzo 2009

Giornalismo senza limitismo


Mio Dio che scoop!

Vizi privati, pubblici mezzi.


Chiedo scusa, scende alla prossima?

Favole così e così


Biancaneve osservava la foresta attraverso l'ampia finestra del castello.

Da lì a poco sarebbe tornato il suo principe azzurro e avrebbero trascorso una serata romantica cenando insieme, discorrendo del tempo e guardando il fuoco del camino tenendosi per mano.

Come erano lontani i giorni della strega cattiva.

Solo un ricordo appannò questo quadro idilliaco, un pensiero malinconico gli attraversò la mente.
"Come mi mancano i sette nani!", disse fra se, "Specialmente Trombolo, così grande nonostante la forma gnomica".

giovedì 12 marzo 2009

Primavera

Fronda che freme
ulivo che argenteggia
non trovo mai carta e penna
da sto cazzo di telefono!

La televisiun la gha la forza d'un leun...

" Non c'è mai un cazzo alla televisione!" esclamò il cieco al quale s'era rotto l'audio.

martedì 10 marzo 2009

Ora posso fare tutto (Soprano's way)


Sono temuto, quindi rispettato.
Già, perché ho capito - ed invero l’ho sempre sospettato, anzi saputo, ma celato a me stesso per sentimentalismo – che gli esseri umani rispettano solo ciò di cui hanno terrore.
A volte manifestano una falsa deferenza ma solo perché pensano di trarne un profitto.
Altrimenti, è sprezzo, menefreghismo, compassione.
.
Chi dice di amarti prova solo desiderio e quando ti lascerà scrollandoti di dosso come forfora, non proverà per te ammirazione o stima, bensì pena e fastidio, ben che andrà indifferenza.
Lo chiamerà affetto. Ma il bene non è rispetto: è misericordia.
Chi ha paura di te invece ti guarderà sempre come si guarda un Totem.
Neppure chi ti odia ti rispetterà se non trema di fronte al tuo sguardo.
.
(Liberamente tratto da Sdrammaturgo)

giovedì 5 marzo 2009

Viagra

Rosaaaaaaaaaaaa, Rosaaaaaaaaaaaaaa urlava Gino vuotando i cassetti del comodino.
Rosa accorse impaurita pensando che Gino si fosse fatto del male, ma quello che le disse fu ancora peggiore:
- Rosa, avevo un blister di Viagra tutto pieno e ora non ce ne sono più. Dov'è Giacomino ?
Oddio il bambinoooooooooooooooo gridò Rosa e quasi svenne.

I due corsero in salotto temendo di trovare il nipotino agonizzante.

Ma Giacomino, buono e pacioso, stava lanciando le sue ciambelline di plastica su un ottimo e divertente perno, anzi due: il gatto Fuffino era stato forzosamente alimentato a Viagra dall'adorabile creatura.

mercoledì 4 marzo 2009

A ciascuno il suo.


Vendo casco moto, modello Otello, quasi nuovo, causa divorzio.

Bricconlage


E' incredibile le cose che si trovano nello scarico della doccia!

Angeli, Arcangeli, Troni e Dominazioni.


Si svegliò di soprassalto.
Una luce filtrava nella stanza nonostante le tapparelle abbassate.
Poi lo/la vide.
"Chi sei?", chiese spaventato.
"Sono un angelo", disse l'apparizione con un sorriso radioso.
"Che vuoi da me?", chiese ancora sbigottito, il giovane teenager
"Sono qui per le tue preghiere, per consigliarti, aiutarti ed esaudire i tuoi desideri", rispose la paradisiaca creatura.
"Vuoi un playstation3? Un motorino? Un biglietto per il concerto dei Green Day?", incalzò la bellezza alata.

Il ragazzo ristette pensoso accarezzondosi le gote irte di brufoli, poi chiese.

"Vorrei solo che mi raccogliessi il Gameboy sotto il letto, mi va una partita, ma sono pigro stanotte".
"Certo, caruccio per così poco!", Aderì prontamente l'essere celeste e si mise carponi a cercare sotto il giaciglio.
"Ahia!, esclamò d'improvviso l'angelo, sussultando sotto le spinte veementi del giovine ed aggiunse con candore.
"Apperò che joystick grosso che hai!"
"E' per giocarti meglio", disse lui fra gli ansimi con inaspettata voce baritonale da indemoniato.


mercoledì 25 febbraio 2009

Il Prigioniero -VII e Ultima Parte-


All’interno dello spazioso studio gli parve di sentire l’odore di chi lo aveva preceduto. Un sentore di erba appena tagliata con un sottofondo di pane sfornato.
L’arredamento del locale era ricco ma sobrio e dava immediatamente una sensazione di protezione, raccoglimento e distacco dalle umane e spesso meschine cose del mondo.
Ampie scaffalature alle pareti piene di libri di pregio rilegati facevano argine all’ignoranza. Scorse con i polpastrelli il dorso di questi volumi gironzolando per il locale. I suoi passi non risuonavano sul parquet perché coperto da spessi tappeti antichi del Caucaso. Un divano di pelle nera posto vicino al grande camino acceso pareva invitarlo al riposo, ma non era il momento di fermarsi.

Accese un’altra luce per contrastare il buio incombente della sera e lesse alcuni titoli della biblioteca privata.
“Lettere a Lucilio” di Lucio Anneo Seneca, poi più in là “I Fratelli Karamàzov” di Dostoevskij, “Il Mahabaratta”, il grande poema epico Indiano e subito dopo “l’Odissea” di Omero.
Entrava man mano nella vita del vecchio Numero 1, ma in punta di piedi.

Si sedette sulla poltrona imbottita di fronte all’ampia scrivania di legno.
Alle sue spalle una vetrata intarsiata di vetri colorati separava le tre grandi arcate delimitate da colonne di granito che permetteva di affacciarsi sul parco secolare.
Spesse tende di velluto blu facevano da cornice a questo quadro bellissimo.
Visionò con cura gli oggetti che una volta erano appartenuti all’uomo che aveva cambiato in maniera così radicale la sua vita. C’erano ricordi da tutto il pianeta, disposti però con gusto e moderazione. Li accomunava, però la bellezza con cui erano stati scelti. Pensò a quanto lavoro, tempo e cura vi era dietro a come una volta erano appartenuti e voluti proprio lì da un uomo che ora non c’era più.
Non poté fare a meno di indugiare nel sentimentalismo.
Fu una breve vacanza, di qualche minuto, da cui si riprese cercando ciò che doveva essere trovato.
La documentazione era ordinatamente impilata alla destra della scrivania, di fronte il grande monitor del computer che lo avrebbe aiutato nella lettura.

“Numero 2”, lesse nel fascicolo ed estrasse il Dvd.
Scorse la notevole mole di dati, moltissimi documenti, relazioni e filmati.
Era uno degli uomini che lo avevano preceduto in questo esperimento, in questa scommessa con il fato e contro ogni logica apparentemente razionale.

Le relazioni psicologiche dettagliate stagliavano il profilo psichico di questo suo “fratello”, poi i cambiamenti sopravvenuti durante la clausura decennale.
Il numero 2 aveva superato i dieci anni, ma non aveva continuato.
Dopo circa due ore di lettura e di filmati e dichiarazioni una breve nota a pie di pagina ne dava il destino che era seguito alla sua vincita: suicidio sei anni dopo.
Più fortunato era stato il numero 3, aveva superato la prima prova, ma era anche riuscito a sopravvivere alla vittoria.
Viveva ora in Scozia, sposato con tre figli.
Il Numero 4 e 5, pur avendo ottime “chance” (almeno così erano stati indicati dai test), avevano abbandonato.
Il primo era quasi morto attraversando su una zattera rudimentale lo stretto che dall’isola portava alla terra ferma in una fuga disperata quanto scomposta.
Era stato salvato in extremis e poi “graziato” dal vecchio Numero 1, di lui in seguito si erano perse le tracce.
L’ultimo era semplicemente impazzito a causa delle amputazioni subite ed era diventato un erotomane senza freno, un maniaco compulsivo.
Ora era rinchiuso in un manicomio di lusso, pagato sempre dal vecchio.

Arrivò, ed era già notte fonda, al proprio fascicolo digitale.
Apprese che fra i candidati selezionati nella sua “leva”, era il meno favorito, ma il vecchio lo aveva preferito ugualmente, forse mosso più dall’istinto che da considerazioni oggettive.

Rileggere e rivivere quei diciotto anni fu un’immersione totale nel suo passato nel suo cambiamento. Era come assistere alla genesi di un uomo nuovo.
Questa regressione evidenziò ciò che già sapeva e cioè come apparentemente mosso dall’avidità aveva scelto di accettare la sfida per poi rilanciare, ma per rancore.
Allora non poteva sapere né immaginare che a spingerlo era in realtà la ricerca di se stesso, il desiderio inconscio di dare un senso alla propria esistenza.
Un senso perverso certo ma sempre un senso.
Aveva dovuto curarsi con il veleno che, per un uomo come lui intossicato dall’apatia e dalla abiezione per se stesso, era stata l’unica medicina.
Un fiore sorto dal fango, avrebbe detto se avesse voluto dirla in poesia.

L’alba lo sorprese con gli occhi arrossati ancora nella lettura di questa vicenda.
Grande fu la sorpresa nel leggere, stavolta su diari e su documenti cartacei, la storia del vecchio Numero 1.
Molto simile alla sua, forse anche troppo, e questa identificazione gli graffiò l’anima e dovette ricordarsi le ultime parole del suo mentore per non cadere nella tristezza più nera.
Una nota nel diario scritta nell’ultima pagina dallo stesso Richards, lo colpì.
“Il serpente è costretto a cambiare pelle per crescere. Io non mi sono rassegnato ad una condizione di schiavitù e ho stappato da me tutto quello che non mi consentiva di realizzare la mia libertà.
Forse anche il serpente patisce quello che io ho dovuto soffrire, anche se sono certo solo di me stesso”.

“Non c’era altro da aggiungere”, pensò chiudendo il diario.

Sentì in quel momento un leggero bussare alla porta, era la signorina Tippy.
Entrò con un vassoio con la colazione e questo gli fece notare che era già mattina.
“Lo sapevo che non avrebbe dormito, però almeno mangi qualche cosa!”,
Pareva una simpatica zia di mezz’età in quel frangente e gli strappò un sorriso bonario.
“Quanto ha ragione! Signorina”, disse e poi aggiunse,
“Nulla è più interessante di se stessi per se stessi”.
La signorina appoggiò il vassoio su un lato della scrivania e scosse la testa dicendo,
“Mi sembra di sentire il vecchio Numero 1. Si ricordi che fra poche ore arriverà il notaio per il testamento, prima, però deve firmare le pratiche di adozione, il signor Richards ha fatto in questo modo, così tutto passerà a lei senza grossi incomodi”, attese qualche secondo e continuò.
“Dopo che avrà firmato potrò chiamarla Signor Richards in pubblico e Numero 1 in privato come ho sempre fatto. Le va bene?”
“Benissimo” disse, “una sola domanda. Chi visionava le mie –performance- per tenerne il conto?”.
“Io naturalmente”, disse miss Tippy strizzandogli l’occhio e uscendo dallo studio con passo leggero.
“Simpatica, la mia nuova segretaria”, pensò fra se.
Poi mangiò, e dopo aver firmato le carte per l'adozione si dedicò a cose più serie.

“Cosa fare?”, Ragionò in se stesso. “Un uomo, ha il diritto di cambiare il destino di un altro uomo?
A che titolo arrogarsi una scelta così grande, con le conseguenze e i rischi che ho visto?
Chi sono io per dire ad un altro essere umano che la sua vita è buttata via e dargli invece come alternativa, la mia stessa esperienza?”
Passarono momenti molto difficili nella coscienza di Peter su quello che avrebbe dovuto, potuto, voluto fare.
Poi con naturalezza dipanò questo gomitolo di incertezze.
“Le cose buone sono patrimonio di tutti, se quello che è accaduto è stato un vero bene per me lo sarà anche per un altro nella mia situazione. Non vi è certezza a questo mondo se non nella propria anima. Farò quello che voglio fare, ma non per un mio interesse, in questo modo la mia intenzione sarà pura, libera, non in senso morale, ma libera dal pensiero del profitto”.

Alzò la cornetta e compose il numero personale, trovato nell'agenda sulla scrivania, dell’avvocato Michael Leonardi.
“Avvocato sono io” disse Peter
“Il Numer…” e subito si corresse, “Il Signor Richards mi aveva informato di questa possibilità, cioè di una sua chiamata”
“Dia inizio alla ricerca” confermò Peter
“Ho capito” rispose l’avvocato.
“No Leonardi, lei sa, ma non ha capito”, lo corresse Peter con tono fermo ma gentile.
“Certo, certo…Contatteremo la sua segretaria appena avremo i candidati dalla società di ricerca. Buongiorno Numero 1”
“Buona giornata anche a lei”, concluse Peter e riagganciando il telefono.

Il suo sguardo si posò in angolo della stanza. L'aveva quasi dimenticato.
Riposava in quel posto il suo “regalo”, una scatola voluminosa.
L’apri e trovò una cella criogenia portatile, collegata ad un alimentatore elettrico.
All’interno vi erano tutte le sue parti amputate.
Lo stupore lo fece rimanere a bocca aperta, ma fu nulla in confronto alle poche righe che lesse nella lettera che trovò.
Era del vecchio.

“Troverai in questo contenitore quanto ti è stato tolto, è stato conservato accuratamente e la mia, ora tua segreteria ti indicherà un esperto di microchirurgia che dovrebbe realizzare i trapianti con successo.
Tu sei più fortunato di me, forse te l’ho già probabilmente detto.
Ai miei tempi questa tecnologia non era disponibile, ma sai che il progresso sempre tardi arriva! Sono certo che potresti vivere sereno anche senza, ma perché dire di no ad una condizione migliore?
Sans rancune.”

Piegò il foglio e lo mise nella tasca della giacca vicino al cuore.
“Certo adesso aveva tutto, ma semplicemente perché poteva rinunciare a tutto”, pensò e con la mente andò a quel uomo che non conosceva ma che stava già cercando: il numero 7.

E proprio pensando a quel uomo che sgorgò spontaneamente la frase del vecchio e ne comprese a fondo il senso: “Sans Rancune”, senza rancore, numero 7" disse a bassa voce.
In quel momento una falce di sole disegnò sui vetri della stanza una sorta di sorriso e gli sembrò quasi una conferma che stava facendo la cosa giusta.

Fine

venerdì 20 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte VI-


Lo svegliarono di soprassalto nella notte, in maniera brutale.
Tre uomini robusti vestiti di scuro avevano interrotto il suo sonno.
Il primo pensiero che attraversò la sua mente fu: “Ci sono, è arrivato il mio momento”.

Il vecchio non era stato dunque ai patti. Ora che lui stava per vincere tutto avrebbe perso ogni cosa, ma solo perché l’altro era stato sleale.
“Non si fanno patti con il Demonio”, pensò, mentre si metteva i pantaloni.
“Alla fine si può solo rimetterci con il rammarico inoltre di aver, per avidità, perso molto credendo di acquistare a buon mercato”.
Mise la sua anima in pace. Finì di vestirsi senza fretta e attese la sua fine.
Questa però non sembrò arrivare.

Lo fecero invece salire su un grande motoscafo su cui i tre balordi erano arrivati. Lo avevano ormeggiato al pontile vicino alla villa.
La barca aveva due enormi motori che brontolavano sommessi e producendo dei mulinelli di schiuma bianca nel mare scurissimo.
Lo scafo dondolava per la risacca e urtava con i parabordi di gomma la struttura di legno, questi colpi sembravano i rintocchi di un orologio.
L’aria era fredda, umida e pungente.
Probabilmente a causa di un’imminente temporale che stava arrivando.
Lo aveva annunciato anche la televisione, ragionò fra di sé, forse per quello era vietato il volo notturno.
“Ecco perché non ho sentito arrivare l’elicottero, il destino si presenta sempre con un vestito nuovo agli appuntamenti importanti”, valutò la situazione ragionando ancora.
Sganciate le cime partirono veloci scivolando sopra questo mare di pece, saltuariamente illuminato da una pallida luna che pareva un faro di un carcere che scandaglia il muro di cinta fra il buio e le nuvole.

Il motoscafo saltava fra i marosi a folle velocità, pareva in lotta contro il tempo, ma lui non sapeva con chi o perchè stava lottando.
Di nuovo il pensiero della fine lo attanagliò, mentre erano al largo.
“Ecco, ora spegneranno i motori, mi metteranno un’ancora legata ai piedi e mi butteranno nel mare. Fine della storia.”.

La barca però non accennava a rallentare, impennandosi fra le onde come un grosso Merlin preso all’amo.
“Mancavano ancora due anni alla fine della sfida”, computò nella sua testa. “Avrebbe potuto attendere che inciampassi (come era già accaduto) in un insuccesso, perché anticipare la mia fine? Che senso aveva questo trasferimento?”.
Queste domande senza risposta si infrangevano contro la sua logica come gli spruzzi del mare contro la prora di questa imbarcazione.

“Inutile domandare a loro”, pensò ancora, “quei tre uomini avevano i modi e la faccia di chi non rispondeva alle domande…Caso mai le facevano, le domande!”.

Incomprensibilmente era calmo, non rassegnato, ma calmo.
Già da qualche tempo in lui era pervenuta una tranquillità naturale, ferma, indeformabile agli eventi che anche adesso lo sosteneva.
Ricordò che questo “dono” gli era arrivato dopo la seconda operazione, quando stava per perdere tutto nella nuova scommessa decennale.
Stava per disattendere per la terza volta di seguito il suo obiettivo mensile. Rischiava così di pagare non solo il pegno di una parte del suo corpo ma tutto se stesso.
Si era ammalato di un’uretrite terribile aggravata da un’influenza capitata in quell'angolo di mondo chissà come. Questi due nemici alleati contro di lui gli aveva tolto le forze.
Era così arrivato quasi di fronte alla morte e proprio in quel frangente, aveva saputo abbandonarsi, non da sconfitto, ma da uomo libero.
Inspiegabilmente aveva amato la “nera signora”, nella stessa maniera cui amava la vita.
Questa imparzialità lo aveva trasformato, aveva determinato in lui un ultimo grandioso salto in se stesso e gli aveva permesso di raggiungere un altro stato di coscienza, più profondo, vero, inalienabile.
Era guarito incredibilmente dopo questa “rivelazione”, in due giorni, miracolosamente, e con notevoli prestazioni di recupero si era salvato.

“Salvato? Per quanto?”, si domandò per l'ennesima volta e la sensazione che questa domanda non lo riguardava solo in quel particolare frangente, ma che lo accompagnava in ogni momento della sua esistenza e in quella di tutti ridusse ad una proporzione accettabile un’incognita così grande.

Fu sballottato contro il parapetto a causa di un’onda più alta delle altre e ritornò per un attimo al suo presente, al pozzetto dove era seduto nella barca.
Il timoniere, poco distante da lui, in una posizione sopraelevata maneggiava sicuro il timone, a gambe larghe manteneva la rotta nelle tenebre. Assomigliava un poco alla sua vita.
Aveva dovuto costruire una barca robusta, cioè il proprio corpo, tracciare la rotta disegnando una mappa con punti di riferimento reali nella sua mente, guidare con il timone del proprio sistema nervoso le emozioni per arrivare dove voleva arrivare.
“Dove?”, Domandò a se stesso. “E dove altro?”, Si disse ancora, e in maniera del tutto naturale si rispose: “Alla fine”.
Guardò il cielo, stingendosi nello spesso giaccone di lana grezza che gli avevano fatto indossare e ringraziò le stelle.
Aveva imparato a fare anche quello.

Osservò le sue dita della mano sinistra. Né mancavano tre, due c’erano ancora otto anni prima, pensò, quando, e gli parve che allora fosse ancora giovane, aveva rilanciato la sfida con il Numero 1.
Pazzo? No. Ora sapeva perché aveva fatto una cosa del genere.
Quello che non sapeva o meglio di cui doveva avere conferma era del perché aveva accettato tale sfida il suo antagonista.

Comunque si era sbagliato poiché lo sbarcarono illeso dopo due ore.
Fu trasferito su un fuoristrada e giunsero, qualche ora dopo, allo scalo internazionale. Prese, insieme ai suoi accompagnatori, l’aereo per gli USA.

“Tornava a casa? Pareva ormai quasi certo, se solo lui avesse mai avuto una casa!”, questa battuta lo fece ridere, pescando così lo sguardo torvo dei suoi nuovi compagni di viaggio, che lo squadrarono stupiti con quelle facce da galera.
Avrebbe potuto fuggire, chiedere aiuto, ma lo avrebbero raggiunto comunque, tanto valeva arrivare fino in fondo a questa partita e scoprire tutte le carte del mazzo.

Dodici ore di volo sono lunghe. Approfittò di questo tempo per analizzare la sua situazione alla luce dei nuovi eventi che per un poco avevano cambiato l’idea che si era fatto della sua esperienza, del suo incubo come una volta lo definiva. Adesso aveva una considerazione diversa del suo passato.
L’intuizione che era balenata nella sua anima molto tempo fa, mentre ragionava su quel lettino steso al sole durante l’attesa dell’arrivo del Numero 1, aveva preso corpo nei successivi otto anni.
Quello che allora aveva accantonato come un’assurdità alla luce della sua nuova maturità era risultato vero.

Aveva dubitato, e lo ammise candidamente con se stesso, nel momento in cui aveva visto quei tre uomini strapparlo al sonno e aveva pensato che erano venuti per ucciderlo, ma ora che le cose sembravano seguire una logica era sempre più convinto della sua interpretazione dei fatti.
Aveva però bisogno di un’ultima conferma.

Entrò profondamente in se stesso, percepì la propria integrità completa, si fuse con naturalezza nell’ambiente circostante e in questo modo separò la sua mente dal suo corpo è fu completamente libero.
Dopo un tempo che non avrebbe potuto definire si riappropriò del suo fisico. Sentì che le sue emozioni si erano placate e con semplicità sorse in lui uno stato di serenità, bellezza e perfezione che appartenevano alla “vera” normalità di un essere umano.
In questo modo vide molto più chiaramente la sua realtà.
Poi finalmente atterrarono.

Al di fuori dell’aeroscalo c’era una bella limousine ad attenderli che, veloce su l’highway, li portò lontano, in strade sempre meno trafficate sino in campagna.
Giunti di fronte ad una principesca residenza che si ergeva dinnanzi ad un piccolo lago artificiale, pensò: “La casa del Numero 1, non c’è bisogno di domandarlo ai passanti”.


Camminando nell’ampio salone all’interno di questa enorme casa vittoriana, udiva l’eco dei suoi passi e quello dei suoi angeli custode sulla pavimentazione a scacchiera, bianca e nera, di marmo pregiato.
Lo aspettava, al centro di questo ampio locale dal soffitto alto sino al terzo piano, il guardaspalle del vecchio.
L’uomo pareva una statua posta a monito per i visitatori.
Il gigante congedò con un’alzata del mento i tre balordi che si allontanarono senza una parola. Bastava certo lui da solo a fare per loro tre.
Da vicino sembrava fatto di granito.

La voce che uscì da questo “Frankenstein” fu invece gentile, virile ma con una nota di fondo malinconica e triste.
“Venga, il Signor Richards l’aspetta, mi raccomando…E’ molto malato, ma voleva assolutamente vederla prima…Prima di…Insomma lo vedrà da se”.

Questa raccomandazione quasi materna strideva: con l’uomo che la pronunciava, il contesto in cui era detta e la storia che vi era dietro.
“Era veramente una situazione bizzarra”, ragionò, “ma ogni vita a suo modo lo è nella sua unicità”.

Salirono lungo l’ampia scalinata sino al primo piano dove “boiserie” in legno avvolgevano le pareti facendo da continuazione ideale al pavimento di legno anch’esso ma di tonalità più chiara. Percorsero un corridoio ampio e lungo che si snodava lungo tutto il piano della grande casa, era punteggiato di porte sulla destra e ampie finestre a sinistra, ogni tanto un grande balcone dava uno scorcio del parco meraviglioso.
Le pareti erano impreziosite da dipinti di grande gusto.
Giunsero infine a una sorta di anticamera, ampia e con mobili antichi negli angoli e quasi al centro una coppia di divani gemelli di antica fattura, dove si fermarono.
Gli fu indicata una porta di legno bianco finemente intarsiato che adduceva a una stanza da letto.
Attese pochi secondi fuori di questa stanza e poi entrò da solo.

Disteso nel letto, leggermente sollevato da una pila di grossi cuscini, respirava a fatica con una maschera ad ossigeno il Numero 1.
L’unico segno della sua tempra eccezionale lo davano i suoi occhi.
Erano l’ultima ridotta posta a baluardo della sua vita. Il corpo aveva capitolato già da un po’, ma gli occhi erano illuminati dalla fiamma del suo spirito invitto.
Sorrise, nel vederlo entrare. Un tipo di sorriso che non pensava potesse appartenere ad un uomo così: di una dolcezza infinita e carico di una serenità che pareva già provenire dall’altra dimensione.

“Buongiorno, Peter”, disse il vecchio spostando con la mano maculata di macchie senili la maschera dell’ossigeno.
“Buongiorno Signor Richards, ora conosco il suo nome, ma vorrei conoscere l’uomo che c’è dietro, se possibile”, stranamente le sue parole fluirono dal suo cuore come se il male trascorso non fosse stato che un piccolo inconveniente sul loro comune sentiero.
“Ho chiesto alla morte di aspettare un poco solo per questo”, disse ancora l’anziano con voce nitida,
“Dovevo essere sicuro che ogni cosa fosse al suo posto e come vedi ogni desiderio è esaudito per l’uomo che sa come chiedere”, sorrise ancora e parve ringiovanire per un attimo.
“Hai capito?”, continuò interrompendosi per tossire.
“Si”, rispose Peter.

“Ogni pianta per essere forte deve conoscere le sue radici”, continuò il vecchio, con un leggero fischio nel respiro affannoso.
“Ho preparato una raccolta documentale di chi ti ha preceduto in modo, bada bene, tu possa decidere se continuare in questa difficile cosa o vivere la tua vita godendo ciò che hai conquistato.”, ebbe un singulto che lo interruppe, poi continuò.
“Inoltre, quando non ci sarò più, riceverai un piccolo regalo che ti aspetta nella stanza accanto. E’ il mio studio privato che ora è tuo, come tutto il resto”.

“Lei, ha fatto di me un uomo, insegnandomi con spietata bontà come operare in me stesso un cambiamento dettato da una coscienza libera dal dolore e dal piacere. Una lotta mortale che ho vinto grazie ha sforzi e sofferenze cui mi sono liberamente sottoposto”.
Si interruppe un attimo perché l’emozione lo sopraffaceva, nonostante l'esposizione del suo sentire fosse quasi impersonale.
“No, no” disse Richards, con uno sguardo severo.
“Non devi essere triste! Io resterò nel tuo ricordo come un amico e non come un Maestro, ora tu sei completo”.

“Come mai ora? Perché state morendo?”, domandò Peter.
“Tu eri pronto già da un pò, ti ho ben valutato nella tua crescita. Ti avrei comunque mandato a prendere, la malattia in cui sono incorso è stata solo una circostanza, niente di più”, espose il vecchio con il suo tono pacato e convincente che lo contraddistingueva in ogni occasione.
“Ma io voglio che lei resti ancora un po’ con me”, disse Peter serio, stupendosi dell’affetto che sgorgava da se stesso con naturalezza.
“Il mondo è troppo piccolo per due Numeri 1”, rispose l’anziano intervallando la sua risata ai colpi di tosse.
“E poi…”, aggiunse, “Nulla è per sempre”.

Trascorso qualche secondo di silenzio in cui il vecchio parve riandare con il ricordo in un passato remoto.
“Sappi che anche io ho avuto in dono la tua stessa sorte, ero giovane, molto giovane e vivevo una vita di espedienti, lasciandomi trasportare dalle circostanze come un relitto dal mare.
Quando incontrai il mio mentore, vissi le tue stesse difficoltà, ma patii molte più amputazioni. Paradossalmente persi entrambe le gambe per imparare a camminare. Come vedi ho trovato un allievo migliore di me. Non potevo desiderare di meglio. Perdonami, se puoi, del male che ti ho fatto, ma era l’unico modo che conoscevo per salvarti da te stesso”.
“Voi non mi dovete nessuna scusa, io ho avuto molto di più di quello che ho perso”, lo interruppe Peter.
Il vecchio fece un gesto vago della mano come a scacciare queste gentilezze superflue e concluse.
“il mio tempo è arrivato, ora lascia che mi raccolga in me stesso, ti lascio per un posto migliore non devi affliggerti, la morte è solo un passaggio, una porta niente altro.”, fece ancora una breve pausa e disse le sue ultime parole:
“L’uomo è più grande delle sue sofferenze”.

Gli parve che gli avesse strizzato l’occhio, mentre pronunciava questa frase che gli aveva dato i brividi, ma non né fu sicuro.
Poi sulla stanza calò un silenzio liquido di serenità.
Passarono vicino le ultime ore, senza una parola, mentre il sole faceva il suo percorso nel cielo andando a morire anche lui nella sera.
Come quel uomo affrontò il momento che a tutti tocca incontrare fu il suo ultimo insegnamento.

Ad un tratto il vecchio trasse un profondo respiro e parve quasi sollevarsi dai cuscini, poi espirò lentamente e chiuse gli occhi sorridendo per l’ultima volta.
Il viso pareva quello di un bimbo con le rughe.

Passarono ancora molti minuti.
Una mano delicata si appoggiò alla sua spalla e lo ridestò.
Numero 1, Signore…Prego, ci sono cose che aspettano lei”, disse la signorina Tippy che era entrata da un po’ nella stanza senza fare rumore.

“E’ vero c’erano cose che andavano viste e fatte”, disse a se stesso.
Con passi lenti si diresse nel suo nuovo studio e aprendone la porta, ebbe la netta sensazione che stava varcando una soglia, non solo verso il passato, ma anche verso il futuro.


Terminerà nella prossima parte…