mercoledì 25 febbraio 2009

Il Prigioniero -VII e Ultima Parte-


All’interno dello spazioso studio gli parve di sentire l’odore di chi lo aveva preceduto. Un sentore di erba appena tagliata con un sottofondo di pane sfornato.
L’arredamento del locale era ricco ma sobrio e dava immediatamente una sensazione di protezione, raccoglimento e distacco dalle umane e spesso meschine cose del mondo.
Ampie scaffalature alle pareti piene di libri di pregio rilegati facevano argine all’ignoranza. Scorse con i polpastrelli il dorso di questi volumi gironzolando per il locale. I suoi passi non risuonavano sul parquet perché coperto da spessi tappeti antichi del Caucaso. Un divano di pelle nera posto vicino al grande camino acceso pareva invitarlo al riposo, ma non era il momento di fermarsi.

Accese un’altra luce per contrastare il buio incombente della sera e lesse alcuni titoli della biblioteca privata.
“Lettere a Lucilio” di Lucio Anneo Seneca, poi più in là “I Fratelli Karamàzov” di Dostoevskij, “Il Mahabaratta”, il grande poema epico Indiano e subito dopo “l’Odissea” di Omero.
Entrava man mano nella vita del vecchio Numero 1, ma in punta di piedi.

Si sedette sulla poltrona imbottita di fronte all’ampia scrivania di legno.
Alle sue spalle una vetrata intarsiata di vetri colorati separava le tre grandi arcate delimitate da colonne di granito che permetteva di affacciarsi sul parco secolare.
Spesse tende di velluto blu facevano da cornice a questo quadro bellissimo.
Visionò con cura gli oggetti che una volta erano appartenuti all’uomo che aveva cambiato in maniera così radicale la sua vita. C’erano ricordi da tutto il pianeta, disposti però con gusto e moderazione. Li accomunava, però la bellezza con cui erano stati scelti. Pensò a quanto lavoro, tempo e cura vi era dietro a come una volta erano appartenuti e voluti proprio lì da un uomo che ora non c’era più.
Non poté fare a meno di indugiare nel sentimentalismo.
Fu una breve vacanza, di qualche minuto, da cui si riprese cercando ciò che doveva essere trovato.
La documentazione era ordinatamente impilata alla destra della scrivania, di fronte il grande monitor del computer che lo avrebbe aiutato nella lettura.

“Numero 2”, lesse nel fascicolo ed estrasse il Dvd.
Scorse la notevole mole di dati, moltissimi documenti, relazioni e filmati.
Era uno degli uomini che lo avevano preceduto in questo esperimento, in questa scommessa con il fato e contro ogni logica apparentemente razionale.

Le relazioni psicologiche dettagliate stagliavano il profilo psichico di questo suo “fratello”, poi i cambiamenti sopravvenuti durante la clausura decennale.
Il numero 2 aveva superato i dieci anni, ma non aveva continuato.
Dopo circa due ore di lettura e di filmati e dichiarazioni una breve nota a pie di pagina ne dava il destino che era seguito alla sua vincita: suicidio sei anni dopo.
Più fortunato era stato il numero 3, aveva superato la prima prova, ma era anche riuscito a sopravvivere alla vittoria.
Viveva ora in Scozia, sposato con tre figli.
Il Numero 4 e 5, pur avendo ottime “chance” (almeno così erano stati indicati dai test), avevano abbandonato.
Il primo era quasi morto attraversando su una zattera rudimentale lo stretto che dall’isola portava alla terra ferma in una fuga disperata quanto scomposta.
Era stato salvato in extremis e poi “graziato” dal vecchio Numero 1, di lui in seguito si erano perse le tracce.
L’ultimo era semplicemente impazzito a causa delle amputazioni subite ed era diventato un erotomane senza freno, un maniaco compulsivo.
Ora era rinchiuso in un manicomio di lusso, pagato sempre dal vecchio.

Arrivò, ed era già notte fonda, al proprio fascicolo digitale.
Apprese che fra i candidati selezionati nella sua “leva”, era il meno favorito, ma il vecchio lo aveva preferito ugualmente, forse mosso più dall’istinto che da considerazioni oggettive.

Rileggere e rivivere quei diciotto anni fu un’immersione totale nel suo passato nel suo cambiamento. Era come assistere alla genesi di un uomo nuovo.
Questa regressione evidenziò ciò che già sapeva e cioè come apparentemente mosso dall’avidità aveva scelto di accettare la sfida per poi rilanciare, ma per rancore.
Allora non poteva sapere né immaginare che a spingerlo era in realtà la ricerca di se stesso, il desiderio inconscio di dare un senso alla propria esistenza.
Un senso perverso certo ma sempre un senso.
Aveva dovuto curarsi con il veleno che, per un uomo come lui intossicato dall’apatia e dalla abiezione per se stesso, era stata l’unica medicina.
Un fiore sorto dal fango, avrebbe detto se avesse voluto dirla in poesia.

L’alba lo sorprese con gli occhi arrossati ancora nella lettura di questa vicenda.
Grande fu la sorpresa nel leggere, stavolta su diari e su documenti cartacei, la storia del vecchio Numero 1.
Molto simile alla sua, forse anche troppo, e questa identificazione gli graffiò l’anima e dovette ricordarsi le ultime parole del suo mentore per non cadere nella tristezza più nera.
Una nota nel diario scritta nell’ultima pagina dallo stesso Richards, lo colpì.
“Il serpente è costretto a cambiare pelle per crescere. Io non mi sono rassegnato ad una condizione di schiavitù e ho stappato da me tutto quello che non mi consentiva di realizzare la mia libertà.
Forse anche il serpente patisce quello che io ho dovuto soffrire, anche se sono certo solo di me stesso”.

“Non c’era altro da aggiungere”, pensò chiudendo il diario.

Sentì in quel momento un leggero bussare alla porta, era la signorina Tippy.
Entrò con un vassoio con la colazione e questo gli fece notare che era già mattina.
“Lo sapevo che non avrebbe dormito, però almeno mangi qualche cosa!”,
Pareva una simpatica zia di mezz’età in quel frangente e gli strappò un sorriso bonario.
“Quanto ha ragione! Signorina”, disse e poi aggiunse,
“Nulla è più interessante di se stessi per se stessi”.
La signorina appoggiò il vassoio su un lato della scrivania e scosse la testa dicendo,
“Mi sembra di sentire il vecchio Numero 1. Si ricordi che fra poche ore arriverà il notaio per il testamento, prima, però deve firmare le pratiche di adozione, il signor Richards ha fatto in questo modo, così tutto passerà a lei senza grossi incomodi”, attese qualche secondo e continuò.
“Dopo che avrà firmato potrò chiamarla Signor Richards in pubblico e Numero 1 in privato come ho sempre fatto. Le va bene?”
“Benissimo” disse, “una sola domanda. Chi visionava le mie –performance- per tenerne il conto?”.
“Io naturalmente”, disse miss Tippy strizzandogli l’occhio e uscendo dallo studio con passo leggero.
“Simpatica, la mia nuova segretaria”, pensò fra se.
Poi mangiò, e dopo aver firmato le carte per l'adozione si dedicò a cose più serie.

“Cosa fare?”, Ragionò in se stesso. “Un uomo, ha il diritto di cambiare il destino di un altro uomo?
A che titolo arrogarsi una scelta così grande, con le conseguenze e i rischi che ho visto?
Chi sono io per dire ad un altro essere umano che la sua vita è buttata via e dargli invece come alternativa, la mia stessa esperienza?”
Passarono momenti molto difficili nella coscienza di Peter su quello che avrebbe dovuto, potuto, voluto fare.
Poi con naturalezza dipanò questo gomitolo di incertezze.
“Le cose buone sono patrimonio di tutti, se quello che è accaduto è stato un vero bene per me lo sarà anche per un altro nella mia situazione. Non vi è certezza a questo mondo se non nella propria anima. Farò quello che voglio fare, ma non per un mio interesse, in questo modo la mia intenzione sarà pura, libera, non in senso morale, ma libera dal pensiero del profitto”.

Alzò la cornetta e compose il numero personale, trovato nell'agenda sulla scrivania, dell’avvocato Michael Leonardi.
“Avvocato sono io” disse Peter
“Il Numer…” e subito si corresse, “Il Signor Richards mi aveva informato di questa possibilità, cioè di una sua chiamata”
“Dia inizio alla ricerca” confermò Peter
“Ho capito” rispose l’avvocato.
“No Leonardi, lei sa, ma non ha capito”, lo corresse Peter con tono fermo ma gentile.
“Certo, certo…Contatteremo la sua segretaria appena avremo i candidati dalla società di ricerca. Buongiorno Numero 1”
“Buona giornata anche a lei”, concluse Peter e riagganciando il telefono.

Il suo sguardo si posò in angolo della stanza. L'aveva quasi dimenticato.
Riposava in quel posto il suo “regalo”, una scatola voluminosa.
L’apri e trovò una cella criogenia portatile, collegata ad un alimentatore elettrico.
All’interno vi erano tutte le sue parti amputate.
Lo stupore lo fece rimanere a bocca aperta, ma fu nulla in confronto alle poche righe che lesse nella lettera che trovò.
Era del vecchio.

“Troverai in questo contenitore quanto ti è stato tolto, è stato conservato accuratamente e la mia, ora tua segreteria ti indicherà un esperto di microchirurgia che dovrebbe realizzare i trapianti con successo.
Tu sei più fortunato di me, forse te l’ho già probabilmente detto.
Ai miei tempi questa tecnologia non era disponibile, ma sai che il progresso sempre tardi arriva! Sono certo che potresti vivere sereno anche senza, ma perché dire di no ad una condizione migliore?
Sans rancune.”

Piegò il foglio e lo mise nella tasca della giacca vicino al cuore.
“Certo adesso aveva tutto, ma semplicemente perché poteva rinunciare a tutto”, pensò e con la mente andò a quel uomo che non conosceva ma che stava già cercando: il numero 7.

E proprio pensando a quel uomo che sgorgò spontaneamente la frase del vecchio e ne comprese a fondo il senso: “Sans Rancune”, senza rancore, numero 7" disse a bassa voce.
In quel momento una falce di sole disegnò sui vetri della stanza una sorta di sorriso e gli sembrò quasi una conferma che stava facendo la cosa giusta.

Fine

venerdì 20 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte VI-


Lo svegliarono di soprassalto nella notte, in maniera brutale.
Tre uomini robusti vestiti di scuro avevano interrotto il suo sonno.
Il primo pensiero che attraversò la sua mente fu: “Ci sono, è arrivato il mio momento”.

Il vecchio non era stato dunque ai patti. Ora che lui stava per vincere tutto avrebbe perso ogni cosa, ma solo perché l’altro era stato sleale.
“Non si fanno patti con il Demonio”, pensò, mentre si metteva i pantaloni.
“Alla fine si può solo rimetterci con il rammarico inoltre di aver, per avidità, perso molto credendo di acquistare a buon mercato”.
Mise la sua anima in pace. Finì di vestirsi senza fretta e attese la sua fine.
Questa però non sembrò arrivare.

Lo fecero invece salire su un grande motoscafo su cui i tre balordi erano arrivati. Lo avevano ormeggiato al pontile vicino alla villa.
La barca aveva due enormi motori che brontolavano sommessi e producendo dei mulinelli di schiuma bianca nel mare scurissimo.
Lo scafo dondolava per la risacca e urtava con i parabordi di gomma la struttura di legno, questi colpi sembravano i rintocchi di un orologio.
L’aria era fredda, umida e pungente.
Probabilmente a causa di un’imminente temporale che stava arrivando.
Lo aveva annunciato anche la televisione, ragionò fra di sé, forse per quello era vietato il volo notturno.
“Ecco perché non ho sentito arrivare l’elicottero, il destino si presenta sempre con un vestito nuovo agli appuntamenti importanti”, valutò la situazione ragionando ancora.
Sganciate le cime partirono veloci scivolando sopra questo mare di pece, saltuariamente illuminato da una pallida luna che pareva un faro di un carcere che scandaglia il muro di cinta fra il buio e le nuvole.

Il motoscafo saltava fra i marosi a folle velocità, pareva in lotta contro il tempo, ma lui non sapeva con chi o perchè stava lottando.
Di nuovo il pensiero della fine lo attanagliò, mentre erano al largo.
“Ecco, ora spegneranno i motori, mi metteranno un’ancora legata ai piedi e mi butteranno nel mare. Fine della storia.”.

La barca però non accennava a rallentare, impennandosi fra le onde come un grosso Merlin preso all’amo.
“Mancavano ancora due anni alla fine della sfida”, computò nella sua testa. “Avrebbe potuto attendere che inciampassi (come era già accaduto) in un insuccesso, perché anticipare la mia fine? Che senso aveva questo trasferimento?”.
Queste domande senza risposta si infrangevano contro la sua logica come gli spruzzi del mare contro la prora di questa imbarcazione.

“Inutile domandare a loro”, pensò ancora, “quei tre uomini avevano i modi e la faccia di chi non rispondeva alle domande…Caso mai le facevano, le domande!”.

Incomprensibilmente era calmo, non rassegnato, ma calmo.
Già da qualche tempo in lui era pervenuta una tranquillità naturale, ferma, indeformabile agli eventi che anche adesso lo sosteneva.
Ricordò che questo “dono” gli era arrivato dopo la seconda operazione, quando stava per perdere tutto nella nuova scommessa decennale.
Stava per disattendere per la terza volta di seguito il suo obiettivo mensile. Rischiava così di pagare non solo il pegno di una parte del suo corpo ma tutto se stesso.
Si era ammalato di un’uretrite terribile aggravata da un’influenza capitata in quell'angolo di mondo chissà come. Questi due nemici alleati contro di lui gli aveva tolto le forze.
Era così arrivato quasi di fronte alla morte e proprio in quel frangente, aveva saputo abbandonarsi, non da sconfitto, ma da uomo libero.
Inspiegabilmente aveva amato la “nera signora”, nella stessa maniera cui amava la vita.
Questa imparzialità lo aveva trasformato, aveva determinato in lui un ultimo grandioso salto in se stesso e gli aveva permesso di raggiungere un altro stato di coscienza, più profondo, vero, inalienabile.
Era guarito incredibilmente dopo questa “rivelazione”, in due giorni, miracolosamente, e con notevoli prestazioni di recupero si era salvato.

“Salvato? Per quanto?”, si domandò per l'ennesima volta e la sensazione che questa domanda non lo riguardava solo in quel particolare frangente, ma che lo accompagnava in ogni momento della sua esistenza e in quella di tutti ridusse ad una proporzione accettabile un’incognita così grande.

Fu sballottato contro il parapetto a causa di un’onda più alta delle altre e ritornò per un attimo al suo presente, al pozzetto dove era seduto nella barca.
Il timoniere, poco distante da lui, in una posizione sopraelevata maneggiava sicuro il timone, a gambe larghe manteneva la rotta nelle tenebre. Assomigliava un poco alla sua vita.
Aveva dovuto costruire una barca robusta, cioè il proprio corpo, tracciare la rotta disegnando una mappa con punti di riferimento reali nella sua mente, guidare con il timone del proprio sistema nervoso le emozioni per arrivare dove voleva arrivare.
“Dove?”, Domandò a se stesso. “E dove altro?”, Si disse ancora, e in maniera del tutto naturale si rispose: “Alla fine”.
Guardò il cielo, stingendosi nello spesso giaccone di lana grezza che gli avevano fatto indossare e ringraziò le stelle.
Aveva imparato a fare anche quello.

Osservò le sue dita della mano sinistra. Né mancavano tre, due c’erano ancora otto anni prima, pensò, quando, e gli parve che allora fosse ancora giovane, aveva rilanciato la sfida con il Numero 1.
Pazzo? No. Ora sapeva perché aveva fatto una cosa del genere.
Quello che non sapeva o meglio di cui doveva avere conferma era del perché aveva accettato tale sfida il suo antagonista.

Comunque si era sbagliato poiché lo sbarcarono illeso dopo due ore.
Fu trasferito su un fuoristrada e giunsero, qualche ora dopo, allo scalo internazionale. Prese, insieme ai suoi accompagnatori, l’aereo per gli USA.

“Tornava a casa? Pareva ormai quasi certo, se solo lui avesse mai avuto una casa!”, questa battuta lo fece ridere, pescando così lo sguardo torvo dei suoi nuovi compagni di viaggio, che lo squadrarono stupiti con quelle facce da galera.
Avrebbe potuto fuggire, chiedere aiuto, ma lo avrebbero raggiunto comunque, tanto valeva arrivare fino in fondo a questa partita e scoprire tutte le carte del mazzo.

Dodici ore di volo sono lunghe. Approfittò di questo tempo per analizzare la sua situazione alla luce dei nuovi eventi che per un poco avevano cambiato l’idea che si era fatto della sua esperienza, del suo incubo come una volta lo definiva. Adesso aveva una considerazione diversa del suo passato.
L’intuizione che era balenata nella sua anima molto tempo fa, mentre ragionava su quel lettino steso al sole durante l’attesa dell’arrivo del Numero 1, aveva preso corpo nei successivi otto anni.
Quello che allora aveva accantonato come un’assurdità alla luce della sua nuova maturità era risultato vero.

Aveva dubitato, e lo ammise candidamente con se stesso, nel momento in cui aveva visto quei tre uomini strapparlo al sonno e aveva pensato che erano venuti per ucciderlo, ma ora che le cose sembravano seguire una logica era sempre più convinto della sua interpretazione dei fatti.
Aveva però bisogno di un’ultima conferma.

Entrò profondamente in se stesso, percepì la propria integrità completa, si fuse con naturalezza nell’ambiente circostante e in questo modo separò la sua mente dal suo corpo è fu completamente libero.
Dopo un tempo che non avrebbe potuto definire si riappropriò del suo fisico. Sentì che le sue emozioni si erano placate e con semplicità sorse in lui uno stato di serenità, bellezza e perfezione che appartenevano alla “vera” normalità di un essere umano.
In questo modo vide molto più chiaramente la sua realtà.
Poi finalmente atterrarono.

Al di fuori dell’aeroscalo c’era una bella limousine ad attenderli che, veloce su l’highway, li portò lontano, in strade sempre meno trafficate sino in campagna.
Giunti di fronte ad una principesca residenza che si ergeva dinnanzi ad un piccolo lago artificiale, pensò: “La casa del Numero 1, non c’è bisogno di domandarlo ai passanti”.


Camminando nell’ampio salone all’interno di questa enorme casa vittoriana, udiva l’eco dei suoi passi e quello dei suoi angeli custode sulla pavimentazione a scacchiera, bianca e nera, di marmo pregiato.
Lo aspettava, al centro di questo ampio locale dal soffitto alto sino al terzo piano, il guardaspalle del vecchio.
L’uomo pareva una statua posta a monito per i visitatori.
Il gigante congedò con un’alzata del mento i tre balordi che si allontanarono senza una parola. Bastava certo lui da solo a fare per loro tre.
Da vicino sembrava fatto di granito.

La voce che uscì da questo “Frankenstein” fu invece gentile, virile ma con una nota di fondo malinconica e triste.
“Venga, il Signor Richards l’aspetta, mi raccomando…E’ molto malato, ma voleva assolutamente vederla prima…Prima di…Insomma lo vedrà da se”.

Questa raccomandazione quasi materna strideva: con l’uomo che la pronunciava, il contesto in cui era detta e la storia che vi era dietro.
“Era veramente una situazione bizzarra”, ragionò, “ma ogni vita a suo modo lo è nella sua unicità”.

Salirono lungo l’ampia scalinata sino al primo piano dove “boiserie” in legno avvolgevano le pareti facendo da continuazione ideale al pavimento di legno anch’esso ma di tonalità più chiara. Percorsero un corridoio ampio e lungo che si snodava lungo tutto il piano della grande casa, era punteggiato di porte sulla destra e ampie finestre a sinistra, ogni tanto un grande balcone dava uno scorcio del parco meraviglioso.
Le pareti erano impreziosite da dipinti di grande gusto.
Giunsero infine a una sorta di anticamera, ampia e con mobili antichi negli angoli e quasi al centro una coppia di divani gemelli di antica fattura, dove si fermarono.
Gli fu indicata una porta di legno bianco finemente intarsiato che adduceva a una stanza da letto.
Attese pochi secondi fuori di questa stanza e poi entrò da solo.

Disteso nel letto, leggermente sollevato da una pila di grossi cuscini, respirava a fatica con una maschera ad ossigeno il Numero 1.
L’unico segno della sua tempra eccezionale lo davano i suoi occhi.
Erano l’ultima ridotta posta a baluardo della sua vita. Il corpo aveva capitolato già da un po’, ma gli occhi erano illuminati dalla fiamma del suo spirito invitto.
Sorrise, nel vederlo entrare. Un tipo di sorriso che non pensava potesse appartenere ad un uomo così: di una dolcezza infinita e carico di una serenità che pareva già provenire dall’altra dimensione.

“Buongiorno, Peter”, disse il vecchio spostando con la mano maculata di macchie senili la maschera dell’ossigeno.
“Buongiorno Signor Richards, ora conosco il suo nome, ma vorrei conoscere l’uomo che c’è dietro, se possibile”, stranamente le sue parole fluirono dal suo cuore come se il male trascorso non fosse stato che un piccolo inconveniente sul loro comune sentiero.
“Ho chiesto alla morte di aspettare un poco solo per questo”, disse ancora l’anziano con voce nitida,
“Dovevo essere sicuro che ogni cosa fosse al suo posto e come vedi ogni desiderio è esaudito per l’uomo che sa come chiedere”, sorrise ancora e parve ringiovanire per un attimo.
“Hai capito?”, continuò interrompendosi per tossire.
“Si”, rispose Peter.

“Ogni pianta per essere forte deve conoscere le sue radici”, continuò il vecchio, con un leggero fischio nel respiro affannoso.
“Ho preparato una raccolta documentale di chi ti ha preceduto in modo, bada bene, tu possa decidere se continuare in questa difficile cosa o vivere la tua vita godendo ciò che hai conquistato.”, ebbe un singulto che lo interruppe, poi continuò.
“Inoltre, quando non ci sarò più, riceverai un piccolo regalo che ti aspetta nella stanza accanto. E’ il mio studio privato che ora è tuo, come tutto il resto”.

“Lei, ha fatto di me un uomo, insegnandomi con spietata bontà come operare in me stesso un cambiamento dettato da una coscienza libera dal dolore e dal piacere. Una lotta mortale che ho vinto grazie ha sforzi e sofferenze cui mi sono liberamente sottoposto”.
Si interruppe un attimo perché l’emozione lo sopraffaceva, nonostante l'esposizione del suo sentire fosse quasi impersonale.
“No, no” disse Richards, con uno sguardo severo.
“Non devi essere triste! Io resterò nel tuo ricordo come un amico e non come un Maestro, ora tu sei completo”.

“Come mai ora? Perché state morendo?”, domandò Peter.
“Tu eri pronto già da un pò, ti ho ben valutato nella tua crescita. Ti avrei comunque mandato a prendere, la malattia in cui sono incorso è stata solo una circostanza, niente di più”, espose il vecchio con il suo tono pacato e convincente che lo contraddistingueva in ogni occasione.
“Ma io voglio che lei resti ancora un po’ con me”, disse Peter serio, stupendosi dell’affetto che sgorgava da se stesso con naturalezza.
“Il mondo è troppo piccolo per due Numeri 1”, rispose l’anziano intervallando la sua risata ai colpi di tosse.
“E poi…”, aggiunse, “Nulla è per sempre”.

Trascorso qualche secondo di silenzio in cui il vecchio parve riandare con il ricordo in un passato remoto.
“Sappi che anche io ho avuto in dono la tua stessa sorte, ero giovane, molto giovane e vivevo una vita di espedienti, lasciandomi trasportare dalle circostanze come un relitto dal mare.
Quando incontrai il mio mentore, vissi le tue stesse difficoltà, ma patii molte più amputazioni. Paradossalmente persi entrambe le gambe per imparare a camminare. Come vedi ho trovato un allievo migliore di me. Non potevo desiderare di meglio. Perdonami, se puoi, del male che ti ho fatto, ma era l’unico modo che conoscevo per salvarti da te stesso”.
“Voi non mi dovete nessuna scusa, io ho avuto molto di più di quello che ho perso”, lo interruppe Peter.
Il vecchio fece un gesto vago della mano come a scacciare queste gentilezze superflue e concluse.
“il mio tempo è arrivato, ora lascia che mi raccolga in me stesso, ti lascio per un posto migliore non devi affliggerti, la morte è solo un passaggio, una porta niente altro.”, fece ancora una breve pausa e disse le sue ultime parole:
“L’uomo è più grande delle sue sofferenze”.

Gli parve che gli avesse strizzato l’occhio, mentre pronunciava questa frase che gli aveva dato i brividi, ma non né fu sicuro.
Poi sulla stanza calò un silenzio liquido di serenità.
Passarono vicino le ultime ore, senza una parola, mentre il sole faceva il suo percorso nel cielo andando a morire anche lui nella sera.
Come quel uomo affrontò il momento che a tutti tocca incontrare fu il suo ultimo insegnamento.

Ad un tratto il vecchio trasse un profondo respiro e parve quasi sollevarsi dai cuscini, poi espirò lentamente e chiuse gli occhi sorridendo per l’ultima volta.
Il viso pareva quello di un bimbo con le rughe.

Passarono ancora molti minuti.
Una mano delicata si appoggiò alla sua spalla e lo ridestò.
Numero 1, Signore…Prego, ci sono cose che aspettano lei”, disse la signorina Tippy che era entrata da un po’ nella stanza senza fare rumore.

“E’ vero c’erano cose che andavano viste e fatte”, disse a se stesso.
Con passi lenti si diresse nel suo nuovo studio e aprendone la porta, ebbe la netta sensazione che stava varcando una soglia, non solo verso il passato, ma anche verso il futuro.


Terminerà nella prossima parte…

mercoledì 18 febbraio 2009

San Valentino (3)

Al Biagio gli era presa la fissa di Montalbano, che palle pensava lei.

Era di Cinisello Balsamo e voleva parlare come fosse nato a Vigata, che neppure esisteva.

Amuri, le disse al telefono, per S Valentino ti regalo un'orata.

Sai che sforzo disse lei, va bene che ha tanto da fare, che lavora tanto, ma un'ora del suo tempo come regalo di S Valentino è da pidocchi.

Arrivò con un cartoccio un po' puzzolente, da cui spuntava una coda. L'orata era in senso ittico, un pesce vero.

Lei se la prese moltissimo, e sebbene lui tentasse di movimentare la serata tentando il giochetto erotico di infilarsela intorno al pisello e urlare "ha abboccato, ha abboccato", lei lo frustò con un ramo di rosmarino, che col pesce arrosto è la morte sua, e uscì sbattendo la porta.

San Valentino (2)

Le procurò delle gravi ferite colpendola con la pizza rinficoseccolita dalla eccessiva permanenza in forno, dovuta al suo ritardo, essendosi fermato a comprarle dei fiori, a cui lei era allergica.

lunedì 16 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte V-


Le pale dell’elicottero appena atterrato nello spiazzo antistante la grande villa, piegavano come spighe di grano nel vento, le schiene del gruppetto di persone che si avvicinavano a lui.
Piegavano tutti tranne il Numero 1.
Era già pomeriggio inoltrato e lo vide subito da lontano.

Ritto e fiero sulla sedia a rotelle spinta dal suo guardaspalle gigantesco, pareva indeformabile a qualunque elemento atmosferico e lo faceva assomigliare, in quel frangente, al capitano Achab sulla prora della baleniera Pequod, orgoglioso della sua caccia a Moby Dick.

Il tempo non lo aveva cambiato, pensò nel vederlo più da vicino.
L’immancabile vestito bianco, lo sguardo penetrante ed acquoso, lo avrebbe riconosciuto fra mille. E come avrebbe potuto dimenticare l’uomo che aveva cambiato la sua vita da un inferno in un incubo?
Ora, era il momento di svegliarsi da questo brutto sogno, era il momento che aveva atteso, pianificato e maledetto per dieci anni.

Quando furono vicini e il rumore del rotore non era altro che un lieve borbottio lontano, notò con distrazione che il tempo era passato invece impietoso per il primate che spingeva la carrozzina. Dieci anni lo avevano imbolsito, aveva perso molti capelli e quelli superstiti erano divenuti grigi. Conservava sempre una stazza eccezionale, tale da incutere una naturale diffidenza in chi gli si avvicinava.
La segretaria era invece ingrassata tanto da apparire più una massaia di mezz’età piuttosto che un'inappuntabile collaboratrice di un miliardario.
Alle spalle del gruppetto un ultimo personaggio che non conosceva, anonimo nell’aspetto e nel vestito. Li lasciarono soli, aspettando in piedi a rispettosa distanza, loro invece si accomodarono vicino ad un tavolo in angolo del grande spiazzo con piscina.
Qualche secondo di silenzio fu il loro primo saluto poi vennero le parole.

“Buon giorno Numero 6”, disse il vecchio.
“Buon giorno…Numero 1” rispose Peter, e l’assurdità di una simile situazione sarebbe bastata a farli scoppiare a ridere se non fosse scorso, in quel surreale incontro sanguinario, il veleno della tragedia vissuta.
“Non ha perso poi molto”, aggiunse l’invalido osservando il piede e poi il resto delle sue amputazioni.
“Certo, rispetto a lei, Numero 1, penso che posso suscitare ancora invidia”, rispose Peter, guardando la carrozzina dove il magnate era confinato.
Colpo su colpo avrebbe restituito, non era più l’uomo di una volta.

“Facciamo finta che lei sia ben disposto nei miei confronti e io farò finta di essere una persona per bene…Le interessa una breve tregua?”, aggiunse il Numero 1 con un sorriso sardonico.
“Si può fare…mi sembra ragionevole”, rispose Peter.
"Se non ricordo male le davo del tu, le spiace se riprendo questa familiarità?", domandò il vecchio.
"Per me va bene, ma personalmente continuerò a darle del -lei-", precisò.
"La senescenza ha i suoi privilegi", aggiunse ancora l'uomo sulla sedia a rotelle con un sorriso che sarebbe stato bene sulla faccia di nonno alla vista del nipotino preferito.
"Come era astuto quel uomo", pensò Peter e non poteva far a meno, in una piccola parte di se, di ammirarlo.
Sempre attento, empatico, capace, cambiando i punti di riferimento, di ribaltare una posizione sfavorevole in una di vantaggio, e così avere la meglio. Quest’uomo parlava e si comportava con un distacco tale che quasi le cose e le persone facevano a gara per assecondarlo, curiosamente le circostanze parevano favorire i desideri di un uomo che apparentemente né sembrava mancante.
Aveva certamente da imparare da un uomo così ma anche lui aveva da insegnare al suo nemico, e presto lo avrebbe fatto.

“Due milioni e trecentododicimila dollari e il rogito della casa scelta tempo fa, ricordo bene?”, esordì così il Numero 1, riassumendo la vincita.
“Ma prima che il mio notaio ti consegni il denaro e i documenti di proprietà, posso farti un paio di domande?”, chiese il vecchio, indicando con un gesto l’uomo che lui non conosceva e che stazionava a debita distanza da loro con una ventiquattrore di pelle nera.
“Certamente a patto che io possa farle una proposta”, aggiunse Peter, senza lasciar trasparire la minima emozione del vulcano interiore che stava ribollendo.
“Una proposta? Uummmh! Interessante, Peter, e ti chiamo adesso con il tuo nome perché ormai non avanzo più nulla da te, dico bene?”
“Certo, lei non dice mai cose sbagliate, ma che sono dette per il bene questo è un altro discorso. Comunque io continuerò a chiamarla Numero 1, visto che non conosco il suo vero nome.”
“I nomi”, disse l’anziano, mulinando una mano come se avesse da riavvolgere una matassa di lana.
“I nomi sono gli araldi dell’ignoranza, spesso ci accontentiamo di catalogare con una parola un concetto, un sentimento, una persona addirittura; così facendo ce né dimentichiamo. Smettiamo di cercare, di vedere, di domandarci,
-chi o cosa- essa sia realmente, o cosa sia diventato. Credendo di conoscere diventiamo più ignoranti”.
Le parole pronunciate lo stupirono per la loro singolarità.
Poi il suo interlocutore si schiarì la gola e aggiunse cambiando tono.

“Questa però non è una lezione di filosofia e tu non sei certo uno studente”, tratteggiò un nuovo sorriso sul suo volto segnato dalle rughe e gli scoccò uno sguardo che gli raschiò l’anima.

“Vorrei sapere come sei riuscito da inetto invertebrato quale t’ho conosciuto a portare a termine un compito non facile come quello cui ti sei dedicato nell’ultimo decennio. Come, mi chiedo ancora, tu abbia superato anche la paura e il dolore. Le tue due ultime “operazioni” addirittura senza anestesia. Un’impresa quasi sovrumana”.

“In tutta questa cosa di umano c’è ben poco e lo sappiamo entrambi, ma le spiegherò come ho fatto: giusto per compiacerla”, citò volutamente una delle frasi del vecchio nel loro primo incontro avvenuto tanto tempo fa. Poi riprese.
“Il bisogno ha reso necessario il mio cambiamento. La sofferenza è il prezzo che ho dovuto pagare per cambiare e dare valore a questa cosa.
In merito alla paura e al dolore posso dire che spesso mi precipitavano nel baratro che cercavo di evitare. Ho così edificando un corpo sano e una mente tranquilla come un lago di montagna per poter vincere, ma prima di raggiungere la vittoria ho dovuto liberarmi dalla vittoria stessa.
Ho agito come se tutto fosse già stato fatto. Non conosco come un’intuizione del genere mi abbia portato a spezzare le catene delle mie abitudini per farmi sopportare il peso, di altre catene, che avevo però liberamente scelto, ma così è stato. Forse per caso”.
“Il caso non esiste”, lo corresse l’uomo sulla sedia a rotelle, parlando con una voce che pareva venire da lontano.

La vicinanza con questo uomo era inquietante. Fisicamente insignificante a causa della sua menomazione, riusciva però, a metterlo a nudo.
Creava stranamente nella sua mente una sorta di eco. Peter, riusciva ad ascoltare in questo modo le sue stesse parole, percependo spesso la sensazione che non fossero vere, reali.

"Non devo dubitare di me stesso", pensò e spronò il proprio spirito ad essere più forte. Avrebbe attinto dal profondo del suo cuore, ammesso che ne avesse ancora uno.
"Solo ciò che è vero non può essere manipolato", si esortò ancora con queste considerazioni.
Pescò dunque nel magma del suo rancore, eruttò lapilli incandescenti di scaltrezza e diede forma alla lava del suo desiderio di rivalsa.
Dei soldi non gliene fregava più nulla. Quindi continuò.

“Ho rinunciato alle anestesie perché limitavano le mie –prestazioni- e volevo provare a me stesso di aver superato il dolore, è stato semplicemente un esperimento dettato dalla necessità. Ho risposto alle sue domande?”, chiese Peter senza rivelare il minimo sentore della battaglia interiore che andava affrontando per mantenersi lucido e calmo.
“In parte” rispose il vecchio,
”Ho fiducia però che le tue prossime parole mi chiariranno molto di più le cose. Tu sai certamente che le domande rivelano l’interlocutore più di qualunque risposta: quindi vorrei conoscere la tua -proposta-“.

Si interruppero per un attimo all’arrivo del cameriere che servì da bere un aperitivo analcolico guarnito di frutta e obrellini di carta multicolore.
Nel frattempo il sole cominciava a tramontare e la temperatura mite lambiva questo quadro elegante che si dipingeva man mano sulla tela di un paesaggio bucolico.
Parevano amici che amabilmente conversassero dei bei tempi, ma senza fretta.
Nulla di più lontano dalla sostanza.
Mentre ognuno di loro sorseggiava con piacevolezza il proprio drink, la battaglia silenziosa non era certo meno violenta della salva delle loro battute.
Era una guerra di anime fra loro.
Peter non voleva abbassare la propria attenzione né consapevolezza su ciò che faceva, dove era, e con chi era. Era chiaro come non mai nella sua mente cosa andava fatto.
Il miliardario non era certo da meno.

Nuovamente soli, Peter parlò.
“Lei ha giocato sino ad ora con me, da una condizione di superiorità.
Diciamo che, facendo un paragone, lei ha tenuto –banco-.
Questo perché io non avevo nulla da scommettere a parte me stesso.
Ora invece punto oltre alla solita posta anche due milioni e rotti di dollari e la casa che possiedo per rilanciare. L'offerta è per altri dieci anni come questi, ma alla fine, il premio di questa scommessa, una volta vinta, sarà tutto, e quando dico tutto, intendo il suo patrimonio completo. Ogni cosa che lei possiede, nulla escluso, fino all’ultimo cent”, espose la sua folle offerta con continuità, come se avesse commentato la scelta delle vele in una barca che passava al largo.

“Perché mai dovrei accettare una cosa del genere?”, chiese il vecchio senza scomporsi.
“Perché lei ha tutto appunto, Numero 1”, disse Peter e aggiunse,
“E chi ha tutto non può dire di no ad una sfida come questa”.
Il silenzio che fece seguito alle sue parole sottolineò uno dei più intensi momenti della sua vita.

Il sole nella sua parabola discendente tratteggiava appena di rosso il bel cielo limpido ma ancora luminoso e colorò il suo sguardo.
Il profumo delle magnolie che carezzavano l'aria riempì il suo respiro, quietandolo.
L’atmosfera era carica di energia che avvolgeva loro due. Era come un'ampolla ove si stava distillando il futuro.
Passarono molti secondi, forse un minuto, in cui il vecchio pareva scandagliare ogni circostanza e abbracciare con lo sguardo gli eventi prossimi venturi, poi parlò risoluto.

“D’accordo, Numero 6, naturalmente faremo le cose in modo regolare. Nulla è più corretto di un accordo fra nemici”, aggiunse. Risero entrambi.
“Ma voglio in cambio di questa sfida una posta più alta” enunciò.
“Cioè?”, domandò Peter
“Voglio la tua vita. La voglio messa in gioco, oltre alle parti del tuo corpo, ma solo nel caso in cui per tre volte di seguito tu non raggiunga il target mensile. In fondo anche io mi sto giocando la vita. Come potrei vivere senza denaro e senza gambe?” contrattò l’invalido e aggiunse al modo di passatempo,
“Giusto per rendere più eccitante il gioco.
Dei dettagli si occuperà l’avvocato Lorenzi, mi farò mandare subito con un fax il contratto che sarà convalidato dal notaio qui presente. Gli suggerirò inoltre di nominare un curatore delle mie proprietà, da oggi e per i prossimi dici anni, per garanzia.
Se vincerai...E sottolineo -se-, avrai tutto, altrimenti…”, concluse e soffiò nel palmo della propria mano, indicando così la sua eventuale fine.

"Accetto! Do ut des", confermò Peter con entusiasmo contenuto,
“L’avvocato Lorenzi? Come mai non Skowroski?”, domandò con una nota di curiosità.
“Skowrosky è morto due anni fa, fulminato da un infarto in uno dei suoi rari week end di riposo nella sua villa di Malibù. L’autopsia ha rivelato che aveva le coronarie come cavi di acciaio. Stress, credo abbia diagnosticato il patologo.
Cose che non accadono a uomini come noi, dal sistema nervoso inattaccabile” constatò con ironia.
“Verissimo, Numero 1, ma lei ha una certa età. Se non arrivasse alla fine della scommessa?”
“Allora avrai vinto lo stesso, non c’è problema, ma io ci sarò. Ci sarò…Non ti preoccupare”.
Questa frase era destinata a risuonargli nella testa per molto, molto tempo ancora.
Vide poi tutti loro, espletate le formalità del nuovo contratto, salire a bordo dell'elicottero che si sollevò da terra con un rumore assordante. Sovrastata la casa, l'aeromobile fece un mezzo giro su stesso e si allontanò volando a pelo d'acqua verso la linea del tramonto.

Il silenzio che seguì coprì la villa, poi l’isola e anche il mare circostante parve immoto.
Gli sembrò che tutto il mondo fosse privo di qualsiasi rumore.
Fra due giorni avrebbe preso il via la nuova sfida, sarebbe tornato nell'arena per l'ultimo lunghissimo combattimento/spettacolo.
Solo per un attimo attraversò nel suo cervello un pensiero pavido, generato forse dal silenzio e dalla solitudine: "Che ho fatto!".
Era un grido di disperazione che si diffondeva in lui come un urlo silenzioso.
Fu solo un momento di debolezza cui non lasciò altro spazio.

Raddrizzò la nuca e si riappropriò di se stesso, mentre il suo sguardo malinconico indugiò per un poco nell’orizzonte dove un punto nel cielo diventava sempre più piccolo.

Continua….

mercoledì 11 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte IV-


Osservava il mare seduto sul lettino vicino alla grande piscina, era un paesaggio mozzafiato che i suoi occhi conoscevano ormai perfettamente, ma che non smettevano di ammirare.
Oggi era il giorno.

Dieci anni, dieci lunghi anni erano trascorsi e gliel’aveva fatta. Oggi avrebbe rivisto il suo “datore di lavoro”, il Numero 1, come nelle rarissime comunicazioni telefoniche si faceva chiamare il vecchio paralitico.
Un brivido lo percorse da capo a piedi e quasi si sentì sopraffare dalla gioia, dall’orgoglio della sua vittoria.
Certamente i momenti difficili non erano mancati, disse fra se, e ricordò con precisione tutte le difficoltà affrontate ed i cambiamenti che aveva dovuto operare su se stesso per arrivare a questo momento, per gustare questo istante che aveva il sapore dell’Ambrosia.

Ricordò il primo giorno del suo arrivo sull’isola. Era atterrato con l’elicottero privato del Numero 1, quel invalido malefico che lo aveva condannato a dieci anni di paradiso forzato.
“Una villa meravigliosa”, aveva detto quel avvocato molto tempo fa, ed, infatti, così era.
Purtroppo il lusso stemperato nella routine, annoia. Anche la carezza amorevole ma costante soffoca, alla fine l’abitudine soverchia ogni altezza.
La naturale associazione mentale che arrivò nella sua mente fu per tutte le donne che aveva posseduto in questi anni, ma questo pensiero non gli diede fastidio.
Una sorta di distaccata osservazione si fece largo fra le pieghe del suo cervello nel ricordare tutte le ragazze che aveva avuto.
Stranamente serbava memoria solamente della prima e ora, si ripromise, avrebbe ricordato per sempre anche l’ultima.
La bella e giovane fotomodella lo attendeva da un pò in camera da letto per: l’ultimo rapporto sessuale obbligatorio della sua vita.
Il suo ultimo spettacolo osceno per il "Numero 1”.
Le altre “signorine” risultavano indistinte, corpi ben fatti, bocche vogliose, odori diversi si confondevano nella sua memoria come un collage scandaloso ma confuso.

“Finalmente sarebbe stato ricco e libero”, sorrise della propria vanità e ricordò ancora di come fosse cambiato.
Un cambiamento così radicale che fra il vecchio, ma allora giovane, se stesso e l’attuale uomo non passava nemmeno un segno di riconoscimento.
Aveva modificato la sua esistenza, come un atleta in occasione di un’olimpiade, solo che per lui non ci sarebbe stato il guadagno di una medaglia alla fine della gara, ma un pezzo del suo corpo ancora attaccato a se stesso, e la cosa era molto più seria.
Eliminate le sigarette, ridotto a dosi omeopatiche l’alcol, aveva disciplinato il proprio corpo in un allenamento duro ma non esasperato. Nuoto, un’ora il giorno ma tutti i giorni. “Ginnastica e cibo sano” erano stati i suoi compagni di viaggio. Il Trainig mentale il suo maestro per non cedere alla depressione e alla paura. Aveva costruito un corpo forte che gli aveva consentito di avere poco meno di 10.800 orgasmi in dieci anni e uscirne vivo da questa brutta storia.
“Vivo ma non illeso”, precisò nel suo monologo mentale.

Il lavoro più duro era stato plasmare la sua mente.
Estirpare da se stesso la paura di non farcela, mondare il suo inconscio da ogni pensiero parassita. La sua vita apparentemente dissoluta era in realtà una vita monastica. Un tempio costruito all’interno di un bordello. Aveva dovuto edificare una simile opera per sopravvivere e nel sopravvivere aveva covato l’odio e la rivalsa per il suo carceriere multimiliardario.
Aveva una sorpresa per lui: una trappola. Un regalo forgiato dal livore. Un opera costruita dentro la sua mente. Aveva scavato nel suo cervello una buca irta di pali acuminati, dove il grande mammut sarebbe andato a cadere e morire, ma con dolore.

Gli angoli della sua bocca si distesero in un’espressione travisata e sgomenta, si appannò il suo sguardo.
Il seme di un'intuizione aveva sconvolto la sua interpretazione del passato e di ciò che si apprestava a fare per il futuro. Era solo inciampato in un barlume di verità che però non scalfiva la granitica costruzione a cui aveva sacrificato un decennio. Fu quindi solo un attimo che allontanò da se come un'assurdità.

Allungò lentamente il braccio e prese il bicchiere di cristallo appoggiato sul tavolino, bevve il succo di pomodoro condito come fosse champagne.
Il cameriere alle sue spalle interruppe il corso del suo ragionare.
“Il Signore desidera qualche cosa?”
“No grazie, ho tutto quello che mi serve”, rispose e quelle parole per lui avevano anche un alto significato, molto più profondo.

L’accappatoio bianco lo copriva dal vento fresco che si era sollevato inaspettato. In questa isola della Grecia faceva sempre un tempo magnifico. Pioveva raramente e mai per tutto il giorno. Gli inverni miti gli avevano concesso una salute di ferro.
Le lunghe ore di esposizione al sole mentre sprofondava nella lettura e nella meditazione avevano conferito alla sua pelle un colorito bronzeo elargendogli però anche qualche ruga.
“Aveva già quaranta anni”, pensò come se questa verità biologica fosse stata per lui, in quel momento, una rivelazione spirituale.
Osservò poi con indifferenza le amputazioni che aveva subito, quattro dita di un piede, il mignolo di una mano. Si accarezzò l’unico orecchio che gli era rimasto e rivisse per un attimo il dolore e il terrore, ma senza più coinvolgimento, come se fosse accaduto ad un altro.
Aveva imparato anche a fare questo, ora era libero dalla sofferenza, non insensibile ma semplicemente oltre questa.

“Bene!”, Disse per farsi coraggio, "andiamo a lavorare", e così dicendo si avviò claudicante verso la camera da letto. La stanza lo aspettava con le grandi porte-finestre aperte sul patio lastricato di belle pietre levigate .
Le tende azzurre pigramente spostate dal vento davano saltuari scorci del locale nel cui centro campeggiava un grande letto bianco e sopra di esso c'era una ragazza sdraiata, nuda. Lei gli dava le spalle mentre leggeva una rivista, era mora, magra ma perfetta con un seno scolpito e i glutei alti e muscolosi leggermenti abbronzati; pareva un bassorilievo sul candore delle lenzuola.
La giovane si volse appena verso di lui e sorrise ammiccante.

“Sei l’ultima”, pensò fra se, ma poi ricordò il suo piano e si corresse: “Forse”.

Mentre si accoppiava con la bella amante provò un'inaspettata soddisfazione. Poi udì l’elicottero che si avvicinava alla villa ed ebbe una stretta allo stomaco.
Nel momento dell’orgasmo apparve nella sua mente la faccia del vecchio che lo contemplava con un ghigno.

“Ride bene chi ride per ultimo”, disse, poi guardando in direzione della telecamera nascosta dietro l’armadio rise, rise forte come posseduto dalla follia.

Continua….

San Valentino

Era tanto che ci pensava, sentiva di doverglielo, così per S Valentino comprò uno splendido anello e lo mise alla sua mano sinistra. Era mancino.

martedì 10 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte III-


Si alzò di scatto dalla sedia.
Fu una reazione inconscia, istintiva, come quando si ritrae la mano dalla fiamma ancora prima di sentire il dolore della bruciatura che ne fa seguito.

Nessuno tentò di fermarlo, ma giunto alla porta udì una voce autorevole, la voce di chi, abituato al comando, non aveva bisogno di alzare il tono per essere ascoltato.

“Peter, non è forse vero che il valore di una moneta si determina esaminandola da entrambe le facce?”

“Cosa? Cosa?”, disse Peter voltandosi indietro come se un’eco dentro alla sua testa facesse rimbalzare questa voce e scuotesse le fondamenta stesse del convincimento che lo facevano fuggire da quel posto folle, da quel luogo dove persone apparentemente per bene deliravano invece che conversare. Da quel manicomio camuffato di rispettabilità.

“Prego, si sieda e mi ascolti per due minuti”, era la voce del vecchio invalido che udiva, ma il timbro era quello di un uomo di mezza età. Una intonazione bassa, baritonale, che contrastava paradossalmente con il suo corpo menomato, anziano e magro. Essa vibrava di una forza misteriosa. Una sorta di accento strascicato che rendeva le sue parole, apparentemente amichevoli, sinistre e nondimeno ammaliatrici.

L’invalido indicò la sedia da cui lui si era alzato e Peter rimase fermo sull’uscio come in forse.
“Mi accontenti”, aggiunse, “Solo per compiacermi”. Sottolineò la frase con un sorriso che scoprì i denti perfetti.
Come in uno stato ipnotico ritornò sui suoi passi e si risedette. Seppe di essere di nuovo in catene, ma ormai, inspiegabilmente, si era già abituato a quel peso da non patirlo quasi più.
Il primo passo verso l’inferno era stato compiuto, ma lui non se ne sarebbe reso conto che molto tempo dopo.

“Due minuti, non un secondo di più”, proferì Peter e le sue parole parvero a se stesso estranee, simili alla minaccia di un ragazzino: ridondante ma inverosimile.
“Basteranno”, disse il vecchio senza il minimo accenno di fretta, poi continuò.

“Immagini un foglio bianco. Lo vede Peter? Ecco, lo divida a metà con una linea ideale. Alla sua destra scriva i “contro” e alla sua sinistra i “pro”, ma mi permetta, solo per gioco, di suggerirle alcune voci.
Poi, se vorrà potrà cancellarle se non le corrispondono o aggiungerne altre, come le ho detto è solo un gioco.
Il senso? Giudicare correttamente per decidere nel modo migliore, cioè senza rimpianti.
Le persone comuni spesso prima scelgono e poi, pentendosi, giudicano.
Lei è un uomo intelligente: non faccia questo errore dettato dall’impulsività”.

Fece una breve pausa in questo discorso semplice ma vero, pronunciato in un tono così quieto e distaccato che piuttosto di convincere, cullava come una storia per bambini.
Peter lo guardava con stupore, e seguendo l’onda della voce modulata del vecchio trovò la calma e l’arrendevolezza necessaria a considerare la proposta in tutte le sue sfaccettature.

L’uomo sulla sedia a rotelle lo guardava in viso, ma senza alcuna ostilità, anzi una sorta di familiarità sembrava scaturire da quel volto segnato dalle sofferenze fisiche che, però non avevano intaccato uno spirito forte come l’acciaio e tagliente come una lama di bisturi.
Quindi proseguì la sua esposizione.
“Nei –contro- metterei sicuramente la sua attuale situazione finanziaria che, non si offenda, definirei fallimentare.
Se analizziamo la sua condizione umana, poi: non ha amici, non ha una relazione sentimentale, non ha parenti.
Lei è solo.
Senza tema di sbagliare aggiungerei che è un indolente, un pigro inveterato, un perdigiorno, un inetto. Non ha saputo costruire nulla sin d’ora e certo adesso alla soglia della maturità non cambierà.
Il mondo è pieno di gente poco realista che da giovani pensavano che il loro culo sarebbe invecchiato come il vino. Se vuole dire che diventa aceto, è così; se vuole dire che migliora con l'età, non è così.
Se avesse potuto farcela in qualche modo sarebbe già accaduto.
Miseria e solitudine è quello che sicuramente l’aspettano per i prossimi anni che le resteranno da vivere.
La vita è piena di incertezze, specialmente per un povero. La malattia e le disgrazie mietono vittime otto volte di più nelle fasce demografiche a basso reddito, ma non voglio annoiarla con le statistiche…Sono così aride!
Solo una piccola curiosità: lo sa che muoiono sulla Terra più persone in un anno per incidenti stradali nei week-end che in molte guerre? Fuori è una jungla, ma a molti appare uno zoo”

Fece ancora una breve pausa, non erano che passati trenta secondi e davanti agli occhi di Peter il mondo si era già sgretolato come un affresco ammuffito.
Poi l’anziano riprese.
“Da ultimo consideriamo la sua paura più grande se accetterà questa –occasione unica- e cioè una possibile menomazione, per la verità piccola, magari solo un dito della mano o del piede, nel caso di un suo fallimento mensile.
Certo, può spaventare, ma è un’eventualità gestibile non una certezza ineluttabile.
Se lei è padrone del suo destino lei è libero, anche se vive senza uscire per dieci anni in una splendida villa.
E sa perché è libero? Perché lei ha vinto sul fato. Nulla le accadrà di inaspettato, lei determinerà in maniera certa il suo divenire.
Quindi vede come già un –contro- può essere messo nei –pro-, semplicemente ampliando il proprio orizzonte”
Un breve sorriso distese il volto del suo interlocutore che continuava nella sua lucida esposizione.

“Nella colonna dei vantaggi metterò una cosa sola.
Le pare strano, Peter? Forse, ma è la cosa che da senso a tutte le altre.
Lei non sarà solo. E non parlo della compagnia di splendide ragazze che allieteranno i suoi giorni, ma la consapevolezza che la sua vita avrà senso anche per chi, come me, vivrà di riflesso nella sua.
Sarà il protagonista, lo sceneggiatore e il regista della propria esistenza.
Mentre io, che fino a qualche momento fa le apparivo come un nemico: sarò solo il produttore.
Gli altri candidati non mi interessano, mi piace lei, mi ricorda un poco me stesso da giovane, ma questi sono solo sentimentalismi di un vecchio, adesso solo i fatti contano.
Ecco perché dico che lei firmerà e, fra dieci anni, quando tutta questa storia sarà finita, penso che si ritroverà ad essere un figlio di puttana sorridente.”

In meno di un minuto e venti secondi la sua mente era stata plasmata da una nuova luce.
Gliel’avrebbe fatta! Cazzo, sentiva che poteva vincere! Anzi ne era certo.
La sfida era stata lanciata e lui ora si sentiva forte come mai in vita sua.
Firmò, e così perdendo il suo nome, divenne il "numero 6".
Era iniziato il suo viaggio verso una nuova casa, una nuova vita.

Continua….

lunedì 9 febbraio 2009

Il prigioniero -Parte II-


“Cosa desidera un uomo?”, disse con voce profonda l’avvocato Skowrosky, stagliando sornione questa domanda sul fondo del discorso di chi possiede già tutte le risposte.
“Mah! Non saprei, penso che per ognuno sia diverso”, rispose Peter cercando di guadagnare tempo.

“Si sbaglia signor Smith, per tutti è la stessa cosa”, incalzò l’avvocato guardandolo dritto negli occhi.
“Denaro e Sesso, ecco cosa vogliamo, possibilmente senza limiti”, continuò sicuro nella sua arringa.
“Beh! Certo, potendo scegliere non è affatto male”, confermò accondiscendente Peter.

“Ebbene, ecco la proposta del nostro cliente”, e così dicendo il legale indicò con l’indice l’invalido sulla sedia a rotelle, ma senza voltare il viso da lui.
“L’offerta è per vivere 10 anni in una lussuosa villa sul mare, con ogni comfort e…Donne, tante donne, sempre diverse. Il sogno di ogni uomo che diventa realtà”.
Fece una breve pausa e riprese:
“Non certo quelle stupidate che sono comunemente contrabbandate come il senso della vita, Amore, Libertà, Amicizia, Serenità. No, no, signor Smith, concretezza. Ecco cosa le è offerto, la vera ricetta del vivere bene. Il romanticismo e la filosofia sono trappole per gli sciocchi. Sedativi sociali per tener buona la moltitudine. Questa è l'unica, semplice e vera realtà”.
“Concordo!”, rispose Peter, guardandosi attorno e incontrando così solo sorrisi, “Ma…Ci sarà pure un -ma-“, aggiunse.
“Ovvio” disse Skowrosky, incrociando le dita e appoggiando i gomiti sulla scrivania lucida.
“Non deve certo essere un avvocato che le spiega che: nulla si fa per nulla: Quid pro quo”, e finalmente sorrise con entrambi gli angoli della bocca a questa citazione senza umorismo.
“Lei vivrà in un’isola soleggiata, in una grande villa, ma non si potrà allontanare, questa condizione non è negoziabile. Inoltre dovrà avere tre rapporti sessuali ogni giorno con donne sempre diverse, piacenti e consenzienti, ma scelte dal suo nuovo datore di lavoro. Tre, si ricordi.”, così dicendo sollevò l’indice, il medio e l’anulare in un’inequivocabile addizione che riassumeva le sue "perfomance" giornaliere obligatorie.
“Sarà sempre ripreso dalle telecamere presenti in ogni angolo della casa e del parco annesso, una sorta di Grande Fratello privato ma discreto, glielo garantiamo, ad uso e consumo del nostro cliente, questa è in sostanza la proposta”.
Quindi tacque.
Anche Peter era senza parole.

“Perché io?”, chiese, stupendosi della banalità di una domanda senza senso fra tutte quelle che gli affollavano in quel momento la mente.
“Perché?”, disse con una smorfia ilare l’avvocato.
“Semplicemente perché lei piace al nostro cliente, ha superato la selezione, ma soprattutto...Perché lei è un disperato”.
Paradossalmente questa offesa pronunciata senza livore aveva tutto la naturalezza della verità.

“Ok, Ok, vivrò su quest’isola, avrò tre donne diverse ogni giorno, godrò dei lussi che questa casa e il benessere che mi concede il denaro, per dieci anni, ma se un giorno non voglio fare sesso? Se volessi fare un viaggio? Se mi ammalassi? Che succede?”, le preoccupazioni cominciavano a far capolino nel suo cervello con maggior ordine e a dare corpo a quel presentimento nefasto che lo aveva accompagnato dal momento che aveva varcato l’ingresso dello studio legale.

“Il contratto è chiaro”, disse improvvisamente l’altro avvocato, allungando dalla sua scrivania una copia di un documento in quindici pagine.
“Mi permetta di sollevarla da una lunga lettura”, aggiunse pacato l’avvocato Senior, scoccando un'occhiata avvelenata al suo giovane collega.
“Lei sarà vincolato in quella meravigliosa residenza, ma solo per dieci anni. Non per sempre, e dieci anni passano in un attimo. Mi creda, quando uso poi il termine “meravigliosa” non esagero. Inoltre cosa vuole che siano tre rapporti ogni giorno? Un uomo nel fiore degli anni come lei, non dovrà fare altro nella sua giornata che occuparsi di tre donne belle, giovani, seducenti e sempre diverse…Una passeggiata. Alla fine del contratto lei avrà due milioni di dollari rivalutati al tasso di interesse pari alla svalutazione annuale ed in più una casa, a sua scelta, fra quelle che le mostrerò”, così dicendo dispose sulla scrivania con l'abilità di un crupier alcune foto di lussuose residenze .
"Lei, signor Smith, tra dieci anni, avrà risolto ogni suo problema materiale ed in più avrà vissuto un decennio di godimenti, un piccolo Paradiso”, continuò nella sua esposizione con una serenità e una logica che faceva apparire tutto semplice.

“Sì certo, visto in questo modo non è impossibile da realizzare, ma se non ce la facessi? Se per dire un giorno non avessi voglia?”, chiese ancora titubante Peter.
“Potrà recuperare, basta che alla fine del mese la sua –prestazione- sia di novanta coiti. Non uno di più né di meno.”, aggiunse cordiale “Mitch l’amico" come ormai lo nominava nella sua mente. Nel parlare il giovane avvocato aveva dato un'occhiata al socio Senior per avere la conferma di aver detto bene.

“Ma se non riuscissi?”, continuò Peter come un disco rotto.
“Allora le sarà amputata una piccola parte del corpo”, aggiunse Skowrosky, atono, come se avesse commentato la cosa più evidente al mondo.

Con questa ultima frase calò un silenzio glaciale su tutto l’ufficio e per un attimo il cuore di Peter parve spegnersi in questo gelo.

Continua….

mercoledì 4 febbraio 2009

Il prigioniero -Parte I-


Leggeva il giornale di ieri. Non poteva permettersi nemmeno il quotidiano del giorno giusto.
Gironzolava in pigiama, nella cucina del piccolo appartamento in affitto.

Mentre si svegliava, molto lentamente, stilò un breve bilancio della sua situazione.
Trenta anni, niente lavoro, niente soldi, il frigo quasi vuoto. Nessuna relazione sentimentale, gli amici poi...ormai lo evitavano.
In meno di un minuto aveva tirato le somme della sua contabilità esistenziale.
Zero era la cifra che ricorreva sotto ogni colonna.
“Mica male”, pensò e sorrise, ma non per allegria.

Intanto che beveva il caffè riscaldato, la sua attenzione si posò su un trafiletto del giornale aperto sugli annunci: un avviso, anonimo ma curioso lo interessò.
Mise la sedia su cui si era appena seduto un po’ più vicina al tavolo e raddrizzò la schiena tirando su con il naso. Poi lesse: “Cercasi candidato: uomo, eterosessuale, per esperimento sociologico, ottima remunerazione, disponibilità a viaggiare all’estero”.
Queste erano le notizie salienti, ma a lui interessava solo la penultima parte: ottima remunerazione.

Aveva l’acqua alla gola e non sapeva ne voleva nuotare.
Scese in strada in tuta da ginnastica, fece una telefonata dalla cabina all’angolo e fissò un appuntamento con la cortese signorina all’altro capo del filo.
Poi tornò in casa per vivere un altro giorno di inutile apatico tormento.

Due giorni dopo si trovò al secondo piano di un grande palazzo che ospitava, tra le altre, numerose società.
L’agenzia di servizi che si occupava del “reclutamento” delle cavie per questo esperimento era un’agenzia famosa, almeno così gli pareva di ricordare, un’agenzia di sondaggi o cose del genere come gli aveva detto la ragazza con cui aveva parlato al telefono.
Oggi era il giorno della sua convocazione, ma non sarebbe stata ne la prima ne l’ultima. Aveva indossato il suo unico vestito decente rimastogli, un completo nero e un dolcevita nero anch'esso che gli conferiva un aspetto perlomeno convenzionale.

Dopo una breve attesa fu ricevuto da uno Psicologo (almeno così si presentò) che gli fece molte domande, poi compilò un lungo questionario, alla fine il dottore lo congedò sbrigativamente.
“Tutto qui?”, aveva chiesto sorpreso.
“Ci faremo sentire noi…nel caso”, aveva detto il suo interlocutore, mettendo l’accento sull’ultima frase. Una risposta decisa che non lasciava spazio a ulteriori domande o repliche.

Era deluso. Avrebbe potuto dormire sino a tardi quel giorno, come faceva di solito, ma si era dovuto svegliare presto per partecipare alla selezione ed adesso, dopo un’ora e mezza di esame, era di nuovo se stesso, purtroppo.
La sua atavica indolenza lo perseguitava come un senso di colpa per un crimine abietto.

Inaspettatamente dopo tre giorni ricevette una lettera.
Era un nuovo appuntamento per “l’esperimento”, lui ormai lo chiamava così questa opportunità. Un’occasione in cui aveva inciampato senza neanche troppa convinzione.
Doveva fare una serie di esami clinici e poi ancora nuovi test psicologici, questo era almeno il programma da svolgersi per addirittura un giorno intero.

Sbadigliò grattandosi la testa, mentre leggeva la lettera scritta in uno stile anonimo che enumerava una serie lunghissima di test che sarebbero stati svolti su si lui. Avrebbe fatto anche questo, ormai avrebbe fatto quasi tutto, firmò la liberatoria allegata la rispedì al mittente e attese paziente.

“Mi sbatteranno fuori casa fra meno di un mese e non ho modo di pagare l’affitto” questi i pensieri tristi che gli facevano compagnia mentre guardava dalla finestra, era inverno, e il pensiero di vivere in strada lo fece rabbrividire nonostante il riscaldamento.

Il giorno della seconda selezione fu lungo e pieno di cose da fare che rispettavano puntualmente il programma che aveva approvato.
Le visite mediche accurate con esami, prelievi e infinite domande sulla sua salute, sulle sue preferenze, tutto sembrava scavare nella sua vita banale alla ricerca di un particolare che non sapeva di avere. Poi eseguì prove attitudinali di ogni genere.
La giornata faticosa finì come l’altra: un brutale congedo senza manco un sorriso.
Passò ancora una lunga settimana ma che gli regalò alla fine una nuova inaspettata convocazione, l’ultima c’era scritto.

Doveva recarsi presso un avvocato in città.
“Che palle!”, pensò con un sospiro, “Mi fanno girare come una trottola”, sbottò, “ma in fondo che avevo da perdere?”, concluse ormai rassegnato questo breve soliloquio.

Il giorno della convocazione era in anticipo all’appuntamento, di ben dieci minuti, fatto incredibile per la sua naturale pigrizia, ma ebbe modo così di guardarsi intorno.
Lo studio legale era prestigioso, elegante e ben organizzato.
Avvocati ben vestiti andavano e venivano dal lungo corridoio. Passavano da un ufficio all’altro in una sorta di gioco dei quattro cantoni. L’immagine era di una efficienza dinamica, ma non frenetica.

La sala di attesa era raffinata, con parquet e tappeti orientali. Poltrone di pelle e quadri importanti alle pareti. Le tre segretarie alla reception erano tutte belle, molto cortesi e vestite con abiti di ottimo gusto. Se le sarebbe scopate tutte e tre.
Scacciò questo pensiero per rimanere concentrato su quello che lo aspettava, ma naturalmente non ci riuscì.
La sua era una specie di ossessione per il sesso, cui non poteva dare seguito se non saltuariamente a causa dei suoi problemi economici.
Non che fosse un brutto uomo, solamente era tremendamente spiantato.
Inoltre la sua indolenza mista a un’inveterata infedeltà mettevano a dura prova anche la donna più innamorata. Alla fine la relazione più lunga negli ultimi cinque anni era stata di tre settimane.

I suoi pensieri furono interrotti da una fragranza, mirra e fiori selvatici, avrebbe detto.
“Signor Smith, signor Peter Smith? Prego, si accomodi gli avvocati la stanno aspettando”, il viso della segretaria era vicino al suo e ne poteva sentire l’alito fresco che si mischiava divinamente con quel profumo.
La guardò con un’occhiata languida, da cane affamato, e si alzò dalla poltrona per dirigersi verso l’ufficio indicatogli. La porta era socchiusa: pareva una bocca aperta nella attesa di mangiarlo.
A metà strada si girò, per osservare il sedere della bella impiegata che stava tornando alla scrivania.
“Era proprio bello tondo”, indugiò fra se immaginandoselo senza gonna e senza il perizoma che si intuiva sotto il tessuto. Per un attimo il sangue gli andò alla testa, ma si ricordò cosa era venuto a fare e così gli evaporò tutta la poesia.

L’ufficio era più grande di quanto immaginava.
Arredato con mobili antichi, si sarebbe potuto dire una sorta di “Country Club” se non ci fossero stati i monitor dei computer che punteggiavano, con il loro candore, le due scrivanie in mogano scuro.

Osservò con cura le persone che lo aspettavano.
Un giovane, probabilmente un avvocato, alla sua destra in piedi, uno più vecchio seduto su una grande poltrona girevole dietro una delle scrivanie. Alla sua sinistra verso il fondo della sala invece un uomo in carrozzina; dietro a quest’ultimo un altro uomo, una specie di gigante, con la faccia da gorilla.
Poi scorse anche una donna, forse una segretaria, oppure un’infermiera, seduta su una piccola poltrona a lato dell’invalido.
L’aria all’interno della stanza era amichevole, rilassata, “Forse un po’ finta”, pensò con malizia.

Il giovane si avvicinò a lui con passo dinamico e gli strinse la mano: “Sono l’avvocato Michael Leonardi…ma se vuole può chiamarmi semplicemente Mitch”, disse con voce gioviale come se fossero stati vecchi amici ritrovati ad una rimpatriata di ex studenti di Harvard.
Non poté fare a meno di notare il bel vestito gessato di questo “amico ritrovato” e l’asola del bottone della manica della giacca lasciata volutamente aperta, a far intendere che il vestito era un prodotto sartoriale, mica un “pre a porter” del cazzo.

Poi con continuità gli furono presentati gli altri.
“Il socio Senior dello studio: l’avvocato Skowrosky”, aggiunse il suo anfitrione, indicando con la mano aperta l’uomo seduto dietro la scrivania.

Era anziano con una cascata leonina di capelli bianchi, Skowrosky, e gli fece un cenno della testa come saluto, poi piegò un angolo della bocca, come se quella smorfia potesse essere scambiata per un vero sorriso.

“Ed ecco il nostro cliente”, aggiunse indicando subito dopo l’invalido, ma stranamente non ne disse il nome.
“E naturalmente la sua segretaria, miss Tippy”, inchinò leggermente il capo, in una sorta di piccola reverenza all'indirizzo della ragazza, come un vero gentleman.
“Non c’era che dire a Harvard li ammaestravano proprio bene”, pensò Peter.

Del “gorilla” appena fuggito dallo zoo non fu fatta menzione. Lui certo non aveva la curiosità di conoscerne il nome e neppure il desiderio di una stretta di mano con quel energumeno per magari farsela stritolare.

“Si accomodi signor Smith”, disse il socio Senior, indicando la sedia di fronte alle scrivanie, disposta in modo da guardare in faccia tutti i presenti.
“Grazie”, disse Smith, fingendo la disinvoltura di chi usualmente frequenta posti di classe come questo.

I secondi successivi trascorsero in un silenzio lievemente carico di imbarazzo.
Il vecchio invalido lo scrutava.

Avrebbe potuto avere fra i sessanta e i settanta anni, ragionò Peter.
Curiosamente era vestito completamente di bianco, il viso, curato e magro, faceva pensare ad un carattere volitivo, ma gli occhi, gli occhi erano estremamente penetranti, anzi inquietanti: di un grigio liquido che parevano poter guardare direttamente dentro la mente dell’altro. Questi furono i pensieri rapidissimi che passarono nel suo cervello.
Sembravano avere la fissità di quelli di un gatto, ma con la perspicacia di un venditore di tappeti furbo, questa fu la conclusione del suo ragionare.
Il nervosismo che cominciava a provare fece diventare rapidamente scomoda la bella sedia imbottita su cui si era accomodato.

“Arriviamo al dunque saltando i preamboli inutili, va bene signor Smith?”, disse l’avvocato anziano, rompendo il silenzio con il solito mezzo sorriso, ma usando stavolta l’altra metà del viso che non aveva ancora adoperato.

Skowrosky, pronunciò “signor Smith”, con una sorta di disprezzo perfettamente camuffato dalla gentilezza. Un vero attore.

“Lei è uno dei candidati, per l'esattezza il numero 6, che hanno sino a ora superato la selezione ma adesso, se deciderà di aderire al progetto dovrà conoscerne i particolari e dopo accettarne le clausole del contratto per essere eventualmente assunto”.
“Naturalmente”, rispose Peter, scodinzolando sulla sedia che non riusciva a diventare comoda neanche ora che il vecchio aveva tolto lo sguardo dalla sua persona. Notò con la coda dell'occhio che ora parlava nell’orecchio della segretaria.

L'avvocato anziano aggiunse ancora con tono affabile, ma mantenendo quella aria di disgusto come se avesse sotto il naso una merda di cane:
“Naturalmente…Lei -signor Smith- sarà vincolato al segreto, anche nel caso non accettasse l’offerta del nostro cliente. Questo è il modulo che ci consente di perseguirla legalmente nel caso, anche una sola parola uscisse dalla sua bocca, a proposito di quanto le sto per dire”, dopo una breve pausa il vecchio squalo in abito blu aggiunse, “E’ tutto chiaro?”.

“Cristallino”, rispose lui, palesando una sicurezza ed un sorriso che non aveva mai avuto in vita sua.

“Firmi allora e conoscerà questa fantastica offerta...Le cambierà la vita”, disse l’avvocato dandogli una penna e un foglio dattiloscritto fitto di causali e postille.
Mai parole furono più vere in bocca ad un patrocinante.

Continua…