mercoledì 4 febbraio 2009

Il prigioniero -Parte I-


Leggeva il giornale di ieri. Non poteva permettersi nemmeno il quotidiano del giorno giusto.
Gironzolava in pigiama, nella cucina del piccolo appartamento in affitto.

Mentre si svegliava, molto lentamente, stilò un breve bilancio della sua situazione.
Trenta anni, niente lavoro, niente soldi, il frigo quasi vuoto. Nessuna relazione sentimentale, gli amici poi...ormai lo evitavano.
In meno di un minuto aveva tirato le somme della sua contabilità esistenziale.
Zero era la cifra che ricorreva sotto ogni colonna.
“Mica male”, pensò e sorrise, ma non per allegria.

Intanto che beveva il caffè riscaldato, la sua attenzione si posò su un trafiletto del giornale aperto sugli annunci: un avviso, anonimo ma curioso lo interessò.
Mise la sedia su cui si era appena seduto un po’ più vicina al tavolo e raddrizzò la schiena tirando su con il naso. Poi lesse: “Cercasi candidato: uomo, eterosessuale, per esperimento sociologico, ottima remunerazione, disponibilità a viaggiare all’estero”.
Queste erano le notizie salienti, ma a lui interessava solo la penultima parte: ottima remunerazione.

Aveva l’acqua alla gola e non sapeva ne voleva nuotare.
Scese in strada in tuta da ginnastica, fece una telefonata dalla cabina all’angolo e fissò un appuntamento con la cortese signorina all’altro capo del filo.
Poi tornò in casa per vivere un altro giorno di inutile apatico tormento.

Due giorni dopo si trovò al secondo piano di un grande palazzo che ospitava, tra le altre, numerose società.
L’agenzia di servizi che si occupava del “reclutamento” delle cavie per questo esperimento era un’agenzia famosa, almeno così gli pareva di ricordare, un’agenzia di sondaggi o cose del genere come gli aveva detto la ragazza con cui aveva parlato al telefono.
Oggi era il giorno della sua convocazione, ma non sarebbe stata ne la prima ne l’ultima. Aveva indossato il suo unico vestito decente rimastogli, un completo nero e un dolcevita nero anch'esso che gli conferiva un aspetto perlomeno convenzionale.

Dopo una breve attesa fu ricevuto da uno Psicologo (almeno così si presentò) che gli fece molte domande, poi compilò un lungo questionario, alla fine il dottore lo congedò sbrigativamente.
“Tutto qui?”, aveva chiesto sorpreso.
“Ci faremo sentire noi…nel caso”, aveva detto il suo interlocutore, mettendo l’accento sull’ultima frase. Una risposta decisa che non lasciava spazio a ulteriori domande o repliche.

Era deluso. Avrebbe potuto dormire sino a tardi quel giorno, come faceva di solito, ma si era dovuto svegliare presto per partecipare alla selezione ed adesso, dopo un’ora e mezza di esame, era di nuovo se stesso, purtroppo.
La sua atavica indolenza lo perseguitava come un senso di colpa per un crimine abietto.

Inaspettatamente dopo tre giorni ricevette una lettera.
Era un nuovo appuntamento per “l’esperimento”, lui ormai lo chiamava così questa opportunità. Un’occasione in cui aveva inciampato senza neanche troppa convinzione.
Doveva fare una serie di esami clinici e poi ancora nuovi test psicologici, questo era almeno il programma da svolgersi per addirittura un giorno intero.

Sbadigliò grattandosi la testa, mentre leggeva la lettera scritta in uno stile anonimo che enumerava una serie lunghissima di test che sarebbero stati svolti su si lui. Avrebbe fatto anche questo, ormai avrebbe fatto quasi tutto, firmò la liberatoria allegata la rispedì al mittente e attese paziente.

“Mi sbatteranno fuori casa fra meno di un mese e non ho modo di pagare l’affitto” questi i pensieri tristi che gli facevano compagnia mentre guardava dalla finestra, era inverno, e il pensiero di vivere in strada lo fece rabbrividire nonostante il riscaldamento.

Il giorno della seconda selezione fu lungo e pieno di cose da fare che rispettavano puntualmente il programma che aveva approvato.
Le visite mediche accurate con esami, prelievi e infinite domande sulla sua salute, sulle sue preferenze, tutto sembrava scavare nella sua vita banale alla ricerca di un particolare che non sapeva di avere. Poi eseguì prove attitudinali di ogni genere.
La giornata faticosa finì come l’altra: un brutale congedo senza manco un sorriso.
Passò ancora una lunga settimana ma che gli regalò alla fine una nuova inaspettata convocazione, l’ultima c’era scritto.

Doveva recarsi presso un avvocato in città.
“Che palle!”, pensò con un sospiro, “Mi fanno girare come una trottola”, sbottò, “ma in fondo che avevo da perdere?”, concluse ormai rassegnato questo breve soliloquio.

Il giorno della convocazione era in anticipo all’appuntamento, di ben dieci minuti, fatto incredibile per la sua naturale pigrizia, ma ebbe modo così di guardarsi intorno.
Lo studio legale era prestigioso, elegante e ben organizzato.
Avvocati ben vestiti andavano e venivano dal lungo corridoio. Passavano da un ufficio all’altro in una sorta di gioco dei quattro cantoni. L’immagine era di una efficienza dinamica, ma non frenetica.

La sala di attesa era raffinata, con parquet e tappeti orientali. Poltrone di pelle e quadri importanti alle pareti. Le tre segretarie alla reception erano tutte belle, molto cortesi e vestite con abiti di ottimo gusto. Se le sarebbe scopate tutte e tre.
Scacciò questo pensiero per rimanere concentrato su quello che lo aspettava, ma naturalmente non ci riuscì.
La sua era una specie di ossessione per il sesso, cui non poteva dare seguito se non saltuariamente a causa dei suoi problemi economici.
Non che fosse un brutto uomo, solamente era tremendamente spiantato.
Inoltre la sua indolenza mista a un’inveterata infedeltà mettevano a dura prova anche la donna più innamorata. Alla fine la relazione più lunga negli ultimi cinque anni era stata di tre settimane.

I suoi pensieri furono interrotti da una fragranza, mirra e fiori selvatici, avrebbe detto.
“Signor Smith, signor Peter Smith? Prego, si accomodi gli avvocati la stanno aspettando”, il viso della segretaria era vicino al suo e ne poteva sentire l’alito fresco che si mischiava divinamente con quel profumo.
La guardò con un’occhiata languida, da cane affamato, e si alzò dalla poltrona per dirigersi verso l’ufficio indicatogli. La porta era socchiusa: pareva una bocca aperta nella attesa di mangiarlo.
A metà strada si girò, per osservare il sedere della bella impiegata che stava tornando alla scrivania.
“Era proprio bello tondo”, indugiò fra se immaginandoselo senza gonna e senza il perizoma che si intuiva sotto il tessuto. Per un attimo il sangue gli andò alla testa, ma si ricordò cosa era venuto a fare e così gli evaporò tutta la poesia.

L’ufficio era più grande di quanto immaginava.
Arredato con mobili antichi, si sarebbe potuto dire una sorta di “Country Club” se non ci fossero stati i monitor dei computer che punteggiavano, con il loro candore, le due scrivanie in mogano scuro.

Osservò con cura le persone che lo aspettavano.
Un giovane, probabilmente un avvocato, alla sua destra in piedi, uno più vecchio seduto su una grande poltrona girevole dietro una delle scrivanie. Alla sua sinistra verso il fondo della sala invece un uomo in carrozzina; dietro a quest’ultimo un altro uomo, una specie di gigante, con la faccia da gorilla.
Poi scorse anche una donna, forse una segretaria, oppure un’infermiera, seduta su una piccola poltrona a lato dell’invalido.
L’aria all’interno della stanza era amichevole, rilassata, “Forse un po’ finta”, pensò con malizia.

Il giovane si avvicinò a lui con passo dinamico e gli strinse la mano: “Sono l’avvocato Michael Leonardi…ma se vuole può chiamarmi semplicemente Mitch”, disse con voce gioviale come se fossero stati vecchi amici ritrovati ad una rimpatriata di ex studenti di Harvard.
Non poté fare a meno di notare il bel vestito gessato di questo “amico ritrovato” e l’asola del bottone della manica della giacca lasciata volutamente aperta, a far intendere che il vestito era un prodotto sartoriale, mica un “pre a porter” del cazzo.

Poi con continuità gli furono presentati gli altri.
“Il socio Senior dello studio: l’avvocato Skowrosky”, aggiunse il suo anfitrione, indicando con la mano aperta l’uomo seduto dietro la scrivania.

Era anziano con una cascata leonina di capelli bianchi, Skowrosky, e gli fece un cenno della testa come saluto, poi piegò un angolo della bocca, come se quella smorfia potesse essere scambiata per un vero sorriso.

“Ed ecco il nostro cliente”, aggiunse indicando subito dopo l’invalido, ma stranamente non ne disse il nome.
“E naturalmente la sua segretaria, miss Tippy”, inchinò leggermente il capo, in una sorta di piccola reverenza all'indirizzo della ragazza, come un vero gentleman.
“Non c’era che dire a Harvard li ammaestravano proprio bene”, pensò Peter.

Del “gorilla” appena fuggito dallo zoo non fu fatta menzione. Lui certo non aveva la curiosità di conoscerne il nome e neppure il desiderio di una stretta di mano con quel energumeno per magari farsela stritolare.

“Si accomodi signor Smith”, disse il socio Senior, indicando la sedia di fronte alle scrivanie, disposta in modo da guardare in faccia tutti i presenti.
“Grazie”, disse Smith, fingendo la disinvoltura di chi usualmente frequenta posti di classe come questo.

I secondi successivi trascorsero in un silenzio lievemente carico di imbarazzo.
Il vecchio invalido lo scrutava.

Avrebbe potuto avere fra i sessanta e i settanta anni, ragionò Peter.
Curiosamente era vestito completamente di bianco, il viso, curato e magro, faceva pensare ad un carattere volitivo, ma gli occhi, gli occhi erano estremamente penetranti, anzi inquietanti: di un grigio liquido che parevano poter guardare direttamente dentro la mente dell’altro. Questi furono i pensieri rapidissimi che passarono nel suo cervello.
Sembravano avere la fissità di quelli di un gatto, ma con la perspicacia di un venditore di tappeti furbo, questa fu la conclusione del suo ragionare.
Il nervosismo che cominciava a provare fece diventare rapidamente scomoda la bella sedia imbottita su cui si era accomodato.

“Arriviamo al dunque saltando i preamboli inutili, va bene signor Smith?”, disse l’avvocato anziano, rompendo il silenzio con il solito mezzo sorriso, ma usando stavolta l’altra metà del viso che non aveva ancora adoperato.

Skowrosky, pronunciò “signor Smith”, con una sorta di disprezzo perfettamente camuffato dalla gentilezza. Un vero attore.

“Lei è uno dei candidati, per l'esattezza il numero 6, che hanno sino a ora superato la selezione ma adesso, se deciderà di aderire al progetto dovrà conoscerne i particolari e dopo accettarne le clausole del contratto per essere eventualmente assunto”.
“Naturalmente”, rispose Peter, scodinzolando sulla sedia che non riusciva a diventare comoda neanche ora che il vecchio aveva tolto lo sguardo dalla sua persona. Notò con la coda dell'occhio che ora parlava nell’orecchio della segretaria.

L'avvocato anziano aggiunse ancora con tono affabile, ma mantenendo quella aria di disgusto come se avesse sotto il naso una merda di cane:
“Naturalmente…Lei -signor Smith- sarà vincolato al segreto, anche nel caso non accettasse l’offerta del nostro cliente. Questo è il modulo che ci consente di perseguirla legalmente nel caso, anche una sola parola uscisse dalla sua bocca, a proposito di quanto le sto per dire”, dopo una breve pausa il vecchio squalo in abito blu aggiunse, “E’ tutto chiaro?”.

“Cristallino”, rispose lui, palesando una sicurezza ed un sorriso che non aveva mai avuto in vita sua.

“Firmi allora e conoscerà questa fantastica offerta...Le cambierà la vita”, disse l’avvocato dandogli una penna e un foglio dattiloscritto fitto di causali e postille.
Mai parole furono più vere in bocca ad un patrocinante.

Continua…

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ma possibile che c'è sempre una parte II ? Leggo, leggo, ci affondo, mi avvolge, mi coinvolge e poi ? continua.... Visir, non mi faccia fare facili paragoni, ma così è.
Porp