lunedì 16 febbraio 2009

Il Prigioniero -Parte V-


Le pale dell’elicottero appena atterrato nello spiazzo antistante la grande villa, piegavano come spighe di grano nel vento, le schiene del gruppetto di persone che si avvicinavano a lui.
Piegavano tutti tranne il Numero 1.
Era già pomeriggio inoltrato e lo vide subito da lontano.

Ritto e fiero sulla sedia a rotelle spinta dal suo guardaspalle gigantesco, pareva indeformabile a qualunque elemento atmosferico e lo faceva assomigliare, in quel frangente, al capitano Achab sulla prora della baleniera Pequod, orgoglioso della sua caccia a Moby Dick.

Il tempo non lo aveva cambiato, pensò nel vederlo più da vicino.
L’immancabile vestito bianco, lo sguardo penetrante ed acquoso, lo avrebbe riconosciuto fra mille. E come avrebbe potuto dimenticare l’uomo che aveva cambiato la sua vita da un inferno in un incubo?
Ora, era il momento di svegliarsi da questo brutto sogno, era il momento che aveva atteso, pianificato e maledetto per dieci anni.

Quando furono vicini e il rumore del rotore non era altro che un lieve borbottio lontano, notò con distrazione che il tempo era passato invece impietoso per il primate che spingeva la carrozzina. Dieci anni lo avevano imbolsito, aveva perso molti capelli e quelli superstiti erano divenuti grigi. Conservava sempre una stazza eccezionale, tale da incutere una naturale diffidenza in chi gli si avvicinava.
La segretaria era invece ingrassata tanto da apparire più una massaia di mezz’età piuttosto che un'inappuntabile collaboratrice di un miliardario.
Alle spalle del gruppetto un ultimo personaggio che non conosceva, anonimo nell’aspetto e nel vestito. Li lasciarono soli, aspettando in piedi a rispettosa distanza, loro invece si accomodarono vicino ad un tavolo in angolo del grande spiazzo con piscina.
Qualche secondo di silenzio fu il loro primo saluto poi vennero le parole.

“Buon giorno Numero 6”, disse il vecchio.
“Buon giorno…Numero 1” rispose Peter, e l’assurdità di una simile situazione sarebbe bastata a farli scoppiare a ridere se non fosse scorso, in quel surreale incontro sanguinario, il veleno della tragedia vissuta.
“Non ha perso poi molto”, aggiunse l’invalido osservando il piede e poi il resto delle sue amputazioni.
“Certo, rispetto a lei, Numero 1, penso che posso suscitare ancora invidia”, rispose Peter, guardando la carrozzina dove il magnate era confinato.
Colpo su colpo avrebbe restituito, non era più l’uomo di una volta.

“Facciamo finta che lei sia ben disposto nei miei confronti e io farò finta di essere una persona per bene…Le interessa una breve tregua?”, aggiunse il Numero 1 con un sorriso sardonico.
“Si può fare…mi sembra ragionevole”, rispose Peter.
"Se non ricordo male le davo del tu, le spiace se riprendo questa familiarità?", domandò il vecchio.
"Per me va bene, ma personalmente continuerò a darle del -lei-", precisò.
"La senescenza ha i suoi privilegi", aggiunse ancora l'uomo sulla sedia a rotelle con un sorriso che sarebbe stato bene sulla faccia di nonno alla vista del nipotino preferito.
"Come era astuto quel uomo", pensò Peter e non poteva far a meno, in una piccola parte di se, di ammirarlo.
Sempre attento, empatico, capace, cambiando i punti di riferimento, di ribaltare una posizione sfavorevole in una di vantaggio, e così avere la meglio. Quest’uomo parlava e si comportava con un distacco tale che quasi le cose e le persone facevano a gara per assecondarlo, curiosamente le circostanze parevano favorire i desideri di un uomo che apparentemente né sembrava mancante.
Aveva certamente da imparare da un uomo così ma anche lui aveva da insegnare al suo nemico, e presto lo avrebbe fatto.

“Due milioni e trecentododicimila dollari e il rogito della casa scelta tempo fa, ricordo bene?”, esordì così il Numero 1, riassumendo la vincita.
“Ma prima che il mio notaio ti consegni il denaro e i documenti di proprietà, posso farti un paio di domande?”, chiese il vecchio, indicando con un gesto l’uomo che lui non conosceva e che stazionava a debita distanza da loro con una ventiquattrore di pelle nera.
“Certamente a patto che io possa farle una proposta”, aggiunse Peter, senza lasciar trasparire la minima emozione del vulcano interiore che stava ribollendo.
“Una proposta? Uummmh! Interessante, Peter, e ti chiamo adesso con il tuo nome perché ormai non avanzo più nulla da te, dico bene?”
“Certo, lei non dice mai cose sbagliate, ma che sono dette per il bene questo è un altro discorso. Comunque io continuerò a chiamarla Numero 1, visto che non conosco il suo vero nome.”
“I nomi”, disse l’anziano, mulinando una mano come se avesse da riavvolgere una matassa di lana.
“I nomi sono gli araldi dell’ignoranza, spesso ci accontentiamo di catalogare con una parola un concetto, un sentimento, una persona addirittura; così facendo ce né dimentichiamo. Smettiamo di cercare, di vedere, di domandarci,
-chi o cosa- essa sia realmente, o cosa sia diventato. Credendo di conoscere diventiamo più ignoranti”.
Le parole pronunciate lo stupirono per la loro singolarità.
Poi il suo interlocutore si schiarì la gola e aggiunse cambiando tono.

“Questa però non è una lezione di filosofia e tu non sei certo uno studente”, tratteggiò un nuovo sorriso sul suo volto segnato dalle rughe e gli scoccò uno sguardo che gli raschiò l’anima.

“Vorrei sapere come sei riuscito da inetto invertebrato quale t’ho conosciuto a portare a termine un compito non facile come quello cui ti sei dedicato nell’ultimo decennio. Come, mi chiedo ancora, tu abbia superato anche la paura e il dolore. Le tue due ultime “operazioni” addirittura senza anestesia. Un’impresa quasi sovrumana”.

“In tutta questa cosa di umano c’è ben poco e lo sappiamo entrambi, ma le spiegherò come ho fatto: giusto per compiacerla”, citò volutamente una delle frasi del vecchio nel loro primo incontro avvenuto tanto tempo fa. Poi riprese.
“Il bisogno ha reso necessario il mio cambiamento. La sofferenza è il prezzo che ho dovuto pagare per cambiare e dare valore a questa cosa.
In merito alla paura e al dolore posso dire che spesso mi precipitavano nel baratro che cercavo di evitare. Ho così edificando un corpo sano e una mente tranquilla come un lago di montagna per poter vincere, ma prima di raggiungere la vittoria ho dovuto liberarmi dalla vittoria stessa.
Ho agito come se tutto fosse già stato fatto. Non conosco come un’intuizione del genere mi abbia portato a spezzare le catene delle mie abitudini per farmi sopportare il peso, di altre catene, che avevo però liberamente scelto, ma così è stato. Forse per caso”.
“Il caso non esiste”, lo corresse l’uomo sulla sedia a rotelle, parlando con una voce che pareva venire da lontano.

La vicinanza con questo uomo era inquietante. Fisicamente insignificante a causa della sua menomazione, riusciva però, a metterlo a nudo.
Creava stranamente nella sua mente una sorta di eco. Peter, riusciva ad ascoltare in questo modo le sue stesse parole, percependo spesso la sensazione che non fossero vere, reali.

"Non devo dubitare di me stesso", pensò e spronò il proprio spirito ad essere più forte. Avrebbe attinto dal profondo del suo cuore, ammesso che ne avesse ancora uno.
"Solo ciò che è vero non può essere manipolato", si esortò ancora con queste considerazioni.
Pescò dunque nel magma del suo rancore, eruttò lapilli incandescenti di scaltrezza e diede forma alla lava del suo desiderio di rivalsa.
Dei soldi non gliene fregava più nulla. Quindi continuò.

“Ho rinunciato alle anestesie perché limitavano le mie –prestazioni- e volevo provare a me stesso di aver superato il dolore, è stato semplicemente un esperimento dettato dalla necessità. Ho risposto alle sue domande?”, chiese Peter senza rivelare il minimo sentore della battaglia interiore che andava affrontando per mantenersi lucido e calmo.
“In parte” rispose il vecchio,
”Ho fiducia però che le tue prossime parole mi chiariranno molto di più le cose. Tu sai certamente che le domande rivelano l’interlocutore più di qualunque risposta: quindi vorrei conoscere la tua -proposta-“.

Si interruppero per un attimo all’arrivo del cameriere che servì da bere un aperitivo analcolico guarnito di frutta e obrellini di carta multicolore.
Nel frattempo il sole cominciava a tramontare e la temperatura mite lambiva questo quadro elegante che si dipingeva man mano sulla tela di un paesaggio bucolico.
Parevano amici che amabilmente conversassero dei bei tempi, ma senza fretta.
Nulla di più lontano dalla sostanza.
Mentre ognuno di loro sorseggiava con piacevolezza il proprio drink, la battaglia silenziosa non era certo meno violenta della salva delle loro battute.
Era una guerra di anime fra loro.
Peter non voleva abbassare la propria attenzione né consapevolezza su ciò che faceva, dove era, e con chi era. Era chiaro come non mai nella sua mente cosa andava fatto.
Il miliardario non era certo da meno.

Nuovamente soli, Peter parlò.
“Lei ha giocato sino ad ora con me, da una condizione di superiorità.
Diciamo che, facendo un paragone, lei ha tenuto –banco-.
Questo perché io non avevo nulla da scommettere a parte me stesso.
Ora invece punto oltre alla solita posta anche due milioni e rotti di dollari e la casa che possiedo per rilanciare. L'offerta è per altri dieci anni come questi, ma alla fine, il premio di questa scommessa, una volta vinta, sarà tutto, e quando dico tutto, intendo il suo patrimonio completo. Ogni cosa che lei possiede, nulla escluso, fino all’ultimo cent”, espose la sua folle offerta con continuità, come se avesse commentato la scelta delle vele in una barca che passava al largo.

“Perché mai dovrei accettare una cosa del genere?”, chiese il vecchio senza scomporsi.
“Perché lei ha tutto appunto, Numero 1”, disse Peter e aggiunse,
“E chi ha tutto non può dire di no ad una sfida come questa”.
Il silenzio che fece seguito alle sue parole sottolineò uno dei più intensi momenti della sua vita.

Il sole nella sua parabola discendente tratteggiava appena di rosso il bel cielo limpido ma ancora luminoso e colorò il suo sguardo.
Il profumo delle magnolie che carezzavano l'aria riempì il suo respiro, quietandolo.
L’atmosfera era carica di energia che avvolgeva loro due. Era come un'ampolla ove si stava distillando il futuro.
Passarono molti secondi, forse un minuto, in cui il vecchio pareva scandagliare ogni circostanza e abbracciare con lo sguardo gli eventi prossimi venturi, poi parlò risoluto.

“D’accordo, Numero 6, naturalmente faremo le cose in modo regolare. Nulla è più corretto di un accordo fra nemici”, aggiunse. Risero entrambi.
“Ma voglio in cambio di questa sfida una posta più alta” enunciò.
“Cioè?”, domandò Peter
“Voglio la tua vita. La voglio messa in gioco, oltre alle parti del tuo corpo, ma solo nel caso in cui per tre volte di seguito tu non raggiunga il target mensile. In fondo anche io mi sto giocando la vita. Come potrei vivere senza denaro e senza gambe?” contrattò l’invalido e aggiunse al modo di passatempo,
“Giusto per rendere più eccitante il gioco.
Dei dettagli si occuperà l’avvocato Lorenzi, mi farò mandare subito con un fax il contratto che sarà convalidato dal notaio qui presente. Gli suggerirò inoltre di nominare un curatore delle mie proprietà, da oggi e per i prossimi dici anni, per garanzia.
Se vincerai...E sottolineo -se-, avrai tutto, altrimenti…”, concluse e soffiò nel palmo della propria mano, indicando così la sua eventuale fine.

"Accetto! Do ut des", confermò Peter con entusiasmo contenuto,
“L’avvocato Lorenzi? Come mai non Skowroski?”, domandò con una nota di curiosità.
“Skowrosky è morto due anni fa, fulminato da un infarto in uno dei suoi rari week end di riposo nella sua villa di Malibù. L’autopsia ha rivelato che aveva le coronarie come cavi di acciaio. Stress, credo abbia diagnosticato il patologo.
Cose che non accadono a uomini come noi, dal sistema nervoso inattaccabile” constatò con ironia.
“Verissimo, Numero 1, ma lei ha una certa età. Se non arrivasse alla fine della scommessa?”
“Allora avrai vinto lo stesso, non c’è problema, ma io ci sarò. Ci sarò…Non ti preoccupare”.
Questa frase era destinata a risuonargli nella testa per molto, molto tempo ancora.
Vide poi tutti loro, espletate le formalità del nuovo contratto, salire a bordo dell'elicottero che si sollevò da terra con un rumore assordante. Sovrastata la casa, l'aeromobile fece un mezzo giro su stesso e si allontanò volando a pelo d'acqua verso la linea del tramonto.

Il silenzio che seguì coprì la villa, poi l’isola e anche il mare circostante parve immoto.
Gli sembrò che tutto il mondo fosse privo di qualsiasi rumore.
Fra due giorni avrebbe preso il via la nuova sfida, sarebbe tornato nell'arena per l'ultimo lunghissimo combattimento/spettacolo.
Solo per un attimo attraversò nel suo cervello un pensiero pavido, generato forse dal silenzio e dalla solitudine: "Che ho fatto!".
Era un grido di disperazione che si diffondeva in lui come un urlo silenzioso.
Fu solo un momento di debolezza cui non lasciò altro spazio.

Raddrizzò la nuca e si riappropriò di se stesso, mentre il suo sguardo malinconico indugiò per un poco nell’orizzonte dove un punto nel cielo diventava sempre più piccolo.

Continua….

4 commenti:

Porporina ha detto...

Tanto alla fine - tira più un pelo di topa che una coppia di buoi
Meglio senza dita dei piedi, delle mani, magari pure un ginocchio, ma alla fine il saltapicchio è salvo.
Altro che vendetta, altri 10 di trombate garantite sono una cosa troppo ghiotta, anche per un mancamentato.
Porp, sempre più di livello basso

Haemo Royd ha detto...

Porp ciò che dici puo' essere vero da un punto di vista femminile, da quello maschile è una missione impossibile, tre volte al giorno tutti i giorni....impossibile per tutti...tranne i presenti..

Visir ha detto...

Rivelo un segreto, ma cosa nota per chi come l'Esimio è padrone di se stesso.
Come fare nel dividersi con tante donne? Semplice, invece di dividersi basta moltiplicarsi!
Et voilà caso risolto, citando il Sommo, ispiratore dell'obelisco di Axum. :)

Porporina ha detto...

Visir, sta forse a significare che il nostro semi-infermo Peter, con la prospettiva di altri dieci anni di reclusione ha pensato di tagliare il pipillo alla julienne e farne così almeno quattro, da usare alternativamente ?
Mi ricorda l'apprendista stregone.
A quando il numero VI?