mercoledì 25 febbraio 2009

Il Prigioniero -VII e Ultima Parte-


All’interno dello spazioso studio gli parve di sentire l’odore di chi lo aveva preceduto. Un sentore di erba appena tagliata con un sottofondo di pane sfornato.
L’arredamento del locale era ricco ma sobrio e dava immediatamente una sensazione di protezione, raccoglimento e distacco dalle umane e spesso meschine cose del mondo.
Ampie scaffalature alle pareti piene di libri di pregio rilegati facevano argine all’ignoranza. Scorse con i polpastrelli il dorso di questi volumi gironzolando per il locale. I suoi passi non risuonavano sul parquet perché coperto da spessi tappeti antichi del Caucaso. Un divano di pelle nera posto vicino al grande camino acceso pareva invitarlo al riposo, ma non era il momento di fermarsi.

Accese un’altra luce per contrastare il buio incombente della sera e lesse alcuni titoli della biblioteca privata.
“Lettere a Lucilio” di Lucio Anneo Seneca, poi più in là “I Fratelli Karamàzov” di Dostoevskij, “Il Mahabaratta”, il grande poema epico Indiano e subito dopo “l’Odissea” di Omero.
Entrava man mano nella vita del vecchio Numero 1, ma in punta di piedi.

Si sedette sulla poltrona imbottita di fronte all’ampia scrivania di legno.
Alle sue spalle una vetrata intarsiata di vetri colorati separava le tre grandi arcate delimitate da colonne di granito che permetteva di affacciarsi sul parco secolare.
Spesse tende di velluto blu facevano da cornice a questo quadro bellissimo.
Visionò con cura gli oggetti che una volta erano appartenuti all’uomo che aveva cambiato in maniera così radicale la sua vita. C’erano ricordi da tutto il pianeta, disposti però con gusto e moderazione. Li accomunava, però la bellezza con cui erano stati scelti. Pensò a quanto lavoro, tempo e cura vi era dietro a come una volta erano appartenuti e voluti proprio lì da un uomo che ora non c’era più.
Non poté fare a meno di indugiare nel sentimentalismo.
Fu una breve vacanza, di qualche minuto, da cui si riprese cercando ciò che doveva essere trovato.
La documentazione era ordinatamente impilata alla destra della scrivania, di fronte il grande monitor del computer che lo avrebbe aiutato nella lettura.

“Numero 2”, lesse nel fascicolo ed estrasse il Dvd.
Scorse la notevole mole di dati, moltissimi documenti, relazioni e filmati.
Era uno degli uomini che lo avevano preceduto in questo esperimento, in questa scommessa con il fato e contro ogni logica apparentemente razionale.

Le relazioni psicologiche dettagliate stagliavano il profilo psichico di questo suo “fratello”, poi i cambiamenti sopravvenuti durante la clausura decennale.
Il numero 2 aveva superato i dieci anni, ma non aveva continuato.
Dopo circa due ore di lettura e di filmati e dichiarazioni una breve nota a pie di pagina ne dava il destino che era seguito alla sua vincita: suicidio sei anni dopo.
Più fortunato era stato il numero 3, aveva superato la prima prova, ma era anche riuscito a sopravvivere alla vittoria.
Viveva ora in Scozia, sposato con tre figli.
Il Numero 4 e 5, pur avendo ottime “chance” (almeno così erano stati indicati dai test), avevano abbandonato.
Il primo era quasi morto attraversando su una zattera rudimentale lo stretto che dall’isola portava alla terra ferma in una fuga disperata quanto scomposta.
Era stato salvato in extremis e poi “graziato” dal vecchio Numero 1, di lui in seguito si erano perse le tracce.
L’ultimo era semplicemente impazzito a causa delle amputazioni subite ed era diventato un erotomane senza freno, un maniaco compulsivo.
Ora era rinchiuso in un manicomio di lusso, pagato sempre dal vecchio.

Arrivò, ed era già notte fonda, al proprio fascicolo digitale.
Apprese che fra i candidati selezionati nella sua “leva”, era il meno favorito, ma il vecchio lo aveva preferito ugualmente, forse mosso più dall’istinto che da considerazioni oggettive.

Rileggere e rivivere quei diciotto anni fu un’immersione totale nel suo passato nel suo cambiamento. Era come assistere alla genesi di un uomo nuovo.
Questa regressione evidenziò ciò che già sapeva e cioè come apparentemente mosso dall’avidità aveva scelto di accettare la sfida per poi rilanciare, ma per rancore.
Allora non poteva sapere né immaginare che a spingerlo era in realtà la ricerca di se stesso, il desiderio inconscio di dare un senso alla propria esistenza.
Un senso perverso certo ma sempre un senso.
Aveva dovuto curarsi con il veleno che, per un uomo come lui intossicato dall’apatia e dalla abiezione per se stesso, era stata l’unica medicina.
Un fiore sorto dal fango, avrebbe detto se avesse voluto dirla in poesia.

L’alba lo sorprese con gli occhi arrossati ancora nella lettura di questa vicenda.
Grande fu la sorpresa nel leggere, stavolta su diari e su documenti cartacei, la storia del vecchio Numero 1.
Molto simile alla sua, forse anche troppo, e questa identificazione gli graffiò l’anima e dovette ricordarsi le ultime parole del suo mentore per non cadere nella tristezza più nera.
Una nota nel diario scritta nell’ultima pagina dallo stesso Richards, lo colpì.
“Il serpente è costretto a cambiare pelle per crescere. Io non mi sono rassegnato ad una condizione di schiavitù e ho stappato da me tutto quello che non mi consentiva di realizzare la mia libertà.
Forse anche il serpente patisce quello che io ho dovuto soffrire, anche se sono certo solo di me stesso”.

“Non c’era altro da aggiungere”, pensò chiudendo il diario.

Sentì in quel momento un leggero bussare alla porta, era la signorina Tippy.
Entrò con un vassoio con la colazione e questo gli fece notare che era già mattina.
“Lo sapevo che non avrebbe dormito, però almeno mangi qualche cosa!”,
Pareva una simpatica zia di mezz’età in quel frangente e gli strappò un sorriso bonario.
“Quanto ha ragione! Signorina”, disse e poi aggiunse,
“Nulla è più interessante di se stessi per se stessi”.
La signorina appoggiò il vassoio su un lato della scrivania e scosse la testa dicendo,
“Mi sembra di sentire il vecchio Numero 1. Si ricordi che fra poche ore arriverà il notaio per il testamento, prima, però deve firmare le pratiche di adozione, il signor Richards ha fatto in questo modo, così tutto passerà a lei senza grossi incomodi”, attese qualche secondo e continuò.
“Dopo che avrà firmato potrò chiamarla Signor Richards in pubblico e Numero 1 in privato come ho sempre fatto. Le va bene?”
“Benissimo” disse, “una sola domanda. Chi visionava le mie –performance- per tenerne il conto?”.
“Io naturalmente”, disse miss Tippy strizzandogli l’occhio e uscendo dallo studio con passo leggero.
“Simpatica, la mia nuova segretaria”, pensò fra se.
Poi mangiò, e dopo aver firmato le carte per l'adozione si dedicò a cose più serie.

“Cosa fare?”, Ragionò in se stesso. “Un uomo, ha il diritto di cambiare il destino di un altro uomo?
A che titolo arrogarsi una scelta così grande, con le conseguenze e i rischi che ho visto?
Chi sono io per dire ad un altro essere umano che la sua vita è buttata via e dargli invece come alternativa, la mia stessa esperienza?”
Passarono momenti molto difficili nella coscienza di Peter su quello che avrebbe dovuto, potuto, voluto fare.
Poi con naturalezza dipanò questo gomitolo di incertezze.
“Le cose buone sono patrimonio di tutti, se quello che è accaduto è stato un vero bene per me lo sarà anche per un altro nella mia situazione. Non vi è certezza a questo mondo se non nella propria anima. Farò quello che voglio fare, ma non per un mio interesse, in questo modo la mia intenzione sarà pura, libera, non in senso morale, ma libera dal pensiero del profitto”.

Alzò la cornetta e compose il numero personale, trovato nell'agenda sulla scrivania, dell’avvocato Michael Leonardi.
“Avvocato sono io” disse Peter
“Il Numer…” e subito si corresse, “Il Signor Richards mi aveva informato di questa possibilità, cioè di una sua chiamata”
“Dia inizio alla ricerca” confermò Peter
“Ho capito” rispose l’avvocato.
“No Leonardi, lei sa, ma non ha capito”, lo corresse Peter con tono fermo ma gentile.
“Certo, certo…Contatteremo la sua segretaria appena avremo i candidati dalla società di ricerca. Buongiorno Numero 1”
“Buona giornata anche a lei”, concluse Peter e riagganciando il telefono.

Il suo sguardo si posò in angolo della stanza. L'aveva quasi dimenticato.
Riposava in quel posto il suo “regalo”, una scatola voluminosa.
L’apri e trovò una cella criogenia portatile, collegata ad un alimentatore elettrico.
All’interno vi erano tutte le sue parti amputate.
Lo stupore lo fece rimanere a bocca aperta, ma fu nulla in confronto alle poche righe che lesse nella lettera che trovò.
Era del vecchio.

“Troverai in questo contenitore quanto ti è stato tolto, è stato conservato accuratamente e la mia, ora tua segreteria ti indicherà un esperto di microchirurgia che dovrebbe realizzare i trapianti con successo.
Tu sei più fortunato di me, forse te l’ho già probabilmente detto.
Ai miei tempi questa tecnologia non era disponibile, ma sai che il progresso sempre tardi arriva! Sono certo che potresti vivere sereno anche senza, ma perché dire di no ad una condizione migliore?
Sans rancune.”

Piegò il foglio e lo mise nella tasca della giacca vicino al cuore.
“Certo adesso aveva tutto, ma semplicemente perché poteva rinunciare a tutto”, pensò e con la mente andò a quel uomo che non conosceva ma che stava già cercando: il numero 7.

E proprio pensando a quel uomo che sgorgò spontaneamente la frase del vecchio e ne comprese a fondo il senso: “Sans Rancune”, senza rancore, numero 7" disse a bassa voce.
In quel momento una falce di sole disegnò sui vetri della stanza una sorta di sorriso e gli sembrò quasi una conferma che stava facendo la cosa giusta.

Fine

5 commenti:

beyk happel ha detto...

Mi hai tenuto sulla corda per ben 21 giorni (io, un libro, anche lungo, lo termino in 3), ma ne è valsa la pena.
Davvero bravo!

Visir ha detto...

Grazie.
Ho corretto alcune piccole inesattezze e migliorato alcuni passaggi del racconto in Visira, il mio blog personale.
Ti consiglio di stamparlo da lì e farlo leggere se vuoi ai tuoi amici.
Nel supporto cartaceo è una lettura più agevole ed io lo suggerisco a tutti quelli che sono interessati.
E'un ottima lettura da bagno, magari mentre si fa la doccia.

Haemo Royd ha detto...

Non c'e' che dire, colpisce e fa riflettere, appunto pensavo fra me e me che se al posto di un triplice giornaliero atto che , a ben guardare , non dipende del tutto dalla volontarietà ci fosse stato un atto squisitamente volontario, anche astratto come l'espressione di un'idea, fermo restando tutto il resto sarebbe stato da 10 e lode.
Sei sulla buona strada Visir....

Visir ha detto...

E' un'ottimo spunto, Haemo.
La genesi di questa storia è abbastanza banale e volgare.
Mi venne in mente chiacchierando con amici davanti ad un paio di birre. L'ho elaborata cercando di nobilitarla con uno spirito più profondo, ma le sue origini sono nel fango (come detto dal protagonista nell'ultimo capitolo).
Come invece suggerisci, l'espressione di un'idea, un'azione, un sentimento veramente originale ogni giorno sarebbe una bella scommessa.
Certo sono però che nessuno di noi ne uscirebbe vivo e in questo senso ancora più interessante e drammatica.
Nel mio semplice racconto (sempre un pochino naif) il tentativo era di additare come in ognuno sia possibile fare di una distopia un'utopia modificando la propria percezione e sensibilità.
Un progetto ambizioso lo ammetto, come tutte le creazioni dei principianti.
Grazie dei preziosi consigli e delle critiche (poche purtroppo).

Visir ha detto...

http://www.repubblica.it/2009/08/sezioni/persone/pittore-francese/pittore-francese/pittore-francese.html?ref=hpspr1